ROMA – Si è spento ieri a Roma, all’età di 80 anni, Janis Kounellis, maestro indiscusso di quella che da Germano Celant venne definita Arte Povera, anche se di fatto Kounellis non fu solo questo.
Greco di origine (Pireo,1936) ma romano di adozione, Kounellis dopo aver studiato presso l’Accademia di Belle Arti sotto la guida di Toti Scialoja, esordisce proprio a Roma nel 1960, con una personale alla Galleria di Plinio de Martiis “La Tartaruga”. Un evento importante e fondamentale che lega il suo nome anche agli artisti della Scuola di Piazza del Popolo, come Mario Schifano, Renato Mambor, Tano Festa e Mario Ceroli. E’ quindi a Roma che l’artista trova la propria dimensione, la propria via, il proprio punto di riferimento.
Da subito Kounellis mostra una forte urgenza comunicativa che lo porta a trovare una cifra stilistica del tutto personale, radicalmente nuova e priva di concessioni meramente estetizzanti, pur rimanendo profondamente legato alle proprie origine, di cui non mancano riferimenti nelle opere. Superata l’esigenza comunicativa, nel tentativo di far coincidere l’arte con la vita, Kounellis tende a identificare l’operazione artistica con i dati dell’esperienza, della vita stessa. Kounellis comincia a utilizzare prodotti e materiali di uso comune, creando installazioni in cui riesce a sintetizzare tradizione e contemporaneo,che si esprimono attraverso grandi dimensioni, diventando vere e proprie scenografie che avvolgono lo spettatore, che diventa attore e protagonista dello spazio e fondamentale per completare l’opera d’arte.
Il tema del fuoco diviene una costante nella sua opera, con tutti i suoi rimandi simbolici, mitici e antropologici.
Nel 1969 presenta invece la celebre installazione con dei veri Cavalli legati alle pareti, realizzata alla galleria L’Attico di Fabio Sargentini, che si trasforma in una vera e propria performance. Presentando degli animali con la loro ingombrante e greve presenza, decontestualizzati dal loro ambiente, Kounellis rievoca i rapporti problematici tra natura e cultura, come pure la riconciliazione con una originaria naturalità.
Il desiderio di portare lo “choc” della vita nella tradizione artistica, non è evidentemente un intento nuovo, ma assolutamente nuovi sono i mezzi di cui Kounellis si serve.
Negli anni Settanta, la sua carica espressiva si carica di una sorta di pesantezza, risultato del disincanto e della frustrazione di fronte al fallimento delle potenzialità innovative dell’arte povera, inevitabilmente inghiottita dalle dinamiche commerciali, suo malgrado. Nel 1972 Kounellis partecipa per la prima volta alla Biennale di Venezia.
Negli anni Ottanta proseguono le installazioni, ma stavolta gli animali vivi cedono il passo a quelli imbalsamati, mentre negli anni Novanta l’arte di Kounellis prende una svolta più manieristica, senza rinunciare all’enfasi monumentale.
Negli anni Duemila continua a essere protagonista di grandi mostre e di grandi installazioni. A Londra nel 2002 infatti ripropone alla Whitechapel l’installazione/performance dei cavalli, mentre a Roma costruisce un enorme labirinto di lamiera lungo il quale pone, quasi fossero altrettanti approdi, gli elementi tradizionali della sua arte, come le “carboniere”, le “cotoniere”, i sacchi di iuta e i cumuli di pietre (“Atto unico”). Nel 2004 realizza un’installazione nella Galleria dell’Accademia di Firenze, all’interno dell’esposizione temporanea Forme per il David e poi ancora nel 2007 inaugura a Roma la Porta dell’Orto Monastico della Basilica di Santa Croce in Gerusalemme, una imponente cancellata di ferro impreziosita da elementi cromatici realizzati in pietre di vetro. Nel 2012 espone al museo d’arte contemporanea Riso nella città di Palermo.
E proprio a breve, il 21 febbraio chiuderà invece, l’esposizione che il Musma, il Museo della Scultura di Matera, gli ha dedicato, dal titolo KOUNELLIS. 14 disegni / 1991, curata da Tommaso Strinati, che presenta quattordici studi per l’installazione Senza titolo, realizzata nel 1991.
Tutto il percorso artitico di Kounellis si caratterizza di fatto per il suo continuo nomadismo, come se volesse sempre rompere con un suo essere precedente, ma è proprio attraverso questo continuo nomadismo comportamentistico che Kounellis ha trovato il massimo grado di libertà ai fini della creazione stilistica.