ROMA – Il sito archeologico di Persepoli, in Iran, dopo un’operazione di scavo durata dieci anni, è finalmente pronto per gli interventi di restauro e la successiva apertura al pubblico.
La campagna di scavo è partita nel 2011 ed è stata effettuata da una missione archeologica congiunta italo-iraniana guidata dall’Università di Bologna e dall’Ismeo (Associazione Internazionale di Studi sul Mediterraneo e l’Oriente). Nel 2017, il Ministero dei Beni Culturali della Repubblica Islamica dell’Iran ha poi fatto partire i lavori per la musealizzazione del sito archeologico, che sarà inaugurato ufficialmente il prossimo autunno.
La missione archeologica, che ha come condirettore il professor Alireza Askari Chaverdi della Shiraz University, opera in Iran dal 2005. Dopo un impegno iniziale nell’area dell’antica città di Pasargade, nel 2008 gli archeologi si sono spostati a Persepoli, celebre centro cerimoniale della dinastia persiana degli Achemenidi, fondato da Dario I intorno al 518 a.C. e oggi sito Patrimonio mondiale dell’Unesco. A 3,5 chilometri dalla Terrazza di Persepoli, durante uno scavo sulla collina nota come Tol-e Ajori (ovvero, “la collina dei mattoni”) è venuta alla luce la prima straordinaria testimonianza della Porta di Tol-e Ajori.
“La porta di Tol-e Ajori – spiega Pierfrancesco Callieri, professore al Dipartimento di Beni Culturali dell’Università di Bologna che guida la missione archeologica per parte italiana – è una delle più importanti scoperte archeologiche degli ultimi decenni. Non solo perché attesta una presenza dinastica a Persepoli nel primo periodo persiano, ma anche perché si tratta di un caso unico nella storia dell’archeologia: una copia della Porta di Ishtar di Babilonia, ricostruita in dimensioni maggiori e con alcune differenze nella tecnica costruttiva”.
“Il monumento – continua Callieri – è costruito non in mattoni crudi e pietra come sulla Terrazza di Persepoli, dove si trovano i grandi palazzi reali, ma in mattoni crudi e mattoni cotti, con un paramento esterno di mattoni invetriati. E anche l’apparato decorativo è del tutto simile all’originale, tanto da suggerirci che i Persiani possano aver utilizzato manodopera specializzata babilonese appositamente per quest’impresa”.
Dallo scorso settembre, la missione archeologica è impegnata in un’ultima campagna di scavo per esplorare alcune aree che fino ad oggi non era stato possibile indagare, con una sperimentazione di “smart excavation” che vede il team iraniano sul posto e la partecipazione a distanza degli studiosi italiani.