ROMA – La mostra, che sarà fruibile al pubblico dal 30 novembre 2016 al 7 maggio 2017, nel Museo di Roma a Palazzo Braschi, è patrocinata dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, e prodotta da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita Culturale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e Arthemisia Group e organizzata con Zètema Progetto Cultura.
L’allestimento segue la vita e la storia artistica di Artemisia, in rapporto ai suoi spostamenti nelle diverse città che ebbe modo di frequentare e dove intraprese rapporti personali e di lavoro. In particolare la mostra è divisa in tre sezioni: romana, 1606-1613 /1620-1627, fiorentina, 1613-1620, e napoletana 1629-1653.
Nicola Spinosa, ideatore della mostra e curatore della sezione napoletana, afferma “Nella mostra non si è parlato solo di Artemisia come donna stuprata o sola donna pittrice. Noi abbiamo voluto evidenziare che una pittrice ha rapporti anche con altri pittori, cambi di idea, di esperienze, perché fare arte è anche rapportarsi, contrastarsi, perché arte è vita.”
In mostra, infatti, sono presenti in tutto 95 dipinti, di cui 29 realizzati da Artemisia e gli altri appartenenti ad altri pittori del suo tempo, alcuni dei quali, molto importanti per lo sviluppo del suo lavoro. Riguardo a questo tipo di allestimento, Iole Siena, di Zètema Group, racconta che la mostra è il compimento di un progetto lavorativo durato 3 anni e afferma “Questa è una mostra vera, come quelle che si facevano una volta. Ci sono 95 quadri con 80 provenienze diverse. Si è trattato di uno sforzo economico e di energie, molto importante”. Sul lavoro di selezione delle opere si è soffermata anche Francesca Baldassarre, curatrice della sezione fiorentina, che ha raccontato “Siamo stati selettivi nella scelta delle opere autografe, occorreva fare pulizia da un punto di vista critico e filologico”. Judith Mann, che cura la sezione romana, insiste sul significato della mostra, inteso a superare una visione dell’artista più legata a quello che la curatrice definisce “il circolo equestre che è stato montato intorno al suo stupro”, aggiungendo che proprio questo “ha esercitato una distorsione sulla comprensione di questa pittrice, quindi con questa mostra cerchiamo di fare un passo indietro e colmare quei vuoti di comprensione e apprezzamento per proporre una nuova lettura dell’opera di Artemisia Gentileschi”.
Mettendo in relazione le opere esposte è realmente possibile comprendere quanto e come quest’artista sia stata parte attiva del mondo in cui viveva, non solo sotto un profilo più prettamente mondano, ma anche e soprattutto a livello artistico e culturale. Le diverse sezioni della mostra si presentano come il racconto di un intreccio di relazioni, di vita e di arte, in cui Artemisia Gentileschi non è la povera donna offesa dallo stupro, ma un’artista padrona della sua arte e consapevole della sua persona. Una donna che riesce a prendere il proprio spazio, in un ambito fortemente maschile, in un mondo in cui l’uomo impone il suo potere.
In opere come “Susanna e i Vecchioni” e Giuditta e l’ancella”, realizzate dalla giovane Artemisia quando era ancora a Roma, sono espressi la grande capacità pittorica e lo stile dell’artista, ed è proprio a queste due opere che la curatrice Judith Mann, invita il pubblico a porre attenzione, perché già in esse è evidente quanto Artemisia “sia una grande pittrice drammatica e narrativa”.
Successivamente, i rapporti che l’artista instaurerà durante la sua permanenza a Firenze contribuiranno fortemente a fare di lei una donna colta. Infatti, come spiega Francesca Baldassarri “alla corte di Cosimo II , l’artista incontrerà Michelangelo Buonarroti il Giovane, che la metterà in contatto con molti dei pittori presenti in mostra”. “Sempre a Firenze Artemisia ha l’importante incontro con Galileo” e, continua la Baldassarri “impara a leggere e scrivere”.
L’ambiente napoletano è anch’esso di grande importanza per il lavoro della pittrice, in particolare, racconta Spinosa, qui Artemisia si confronta con quel gruppo di pittori, tra i quali Massimo Stanzione, che portano avanti una riforma del naturalismo caravaggesco.
Infine, dunque, la mostra lascia emergere i contatti e le relazioni artistiche di una donna che ha saputo parlare con il suo tempo e raccontarsi al nostro.
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