SIVIGLIA – “Rubens: Ercole e Deianira. Capolavori dalle collezioni italiane” è la mostra ospitata, dal 4 aprile al 22 settembre 2019, al Museo Palacio de la Condesa de Lebrija, edificio risalente al XVI secolo, che custodisce gli oggetti acquisiti durante i suoi viaggi dalla contessa Doña Regla Manjon, prima donna accademico di Belle Arti di Santa Elisabetta d’Ungheria a Siviglia, accademico della Real Academia de Bellas Artes de San Fernando a Madrid, e soprattutto appassionata di archeologia.
Si tratta di un’esposizione curata da Anna Maria Bava, Direttore della Galleria Sabauda di Torino con la collaborazione di Cristina Carrillo de Albornoz de Fisac, promossa dalla Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale e realizzata da Poema, Comediarting e Arthemisia, con il patrocinio del Comune di Siviglia.
Due grandi tele di Peter Paul Rubens, Ercole nel giardino delle Hesperides e Deyanira tentata dalla Furia, provenienti dall’Italia, dialogheranno con le figure mitologiche che popolano le decorazioni musive, gli arabeschi del patio e i busti marmorei di ispirazione classica greco-romana conservati nel Museo.
La prima imponente tela rappresenta Ercole nel momento in cui, dopo aver ucciso il serpente guardiano Ladone, raccoglie dall’albero i pomi d’oro che erano custoditi nel giardino delle Esperidi, cioè i frutti che avrebbero dato compimento alla sua undicesima fatica.
Nel secondo maestoso dipinto Deianira, sposa di Ercole (che ricorda le fattezze della seconda moglie di Rubens, Hélène Fourment) è rappresentata mentre alza lo sguardo verso l’alto prestando attenzione alle parole che le bisbiglia la Furia, dea della vendetta con i capelli di serpente che, piegandosi verso di lei, le offre la tunica bagnata dal sangue del centauro Nesso. Non sospettando che il sangue fosse avvelenato, ma credendolo invece una pozione amorosa che le avrebbe fatto riconquistare l’amore del marito, invaghitosi della bella Iole, Deianira offrirà successivamente il manto in dono a Ercole, provocandone la morte atroce e uccidendosi a sua volta per il rimorso.
L’episodio di Ercole è legato alla Spagna perché le Esperidi nella mitologia greca erano le ninfe che si occupavano di un meraviglioso giardino che, secondo il geografo greco Estrabón, era un posto situato nel sud della penisola iberica con un boschetto di mele dorate che donavano l’immortalità.
La seconda opera è invece strettamente in dialogo con il Busto giovanile di Afrodite, replica dell’originale di Fidia scolpito dal suo discepolo Agoracrito di Paros nel V secolo a.C. e con il marmo raffigurante Minerva, con l’elmo sul capo e con un gorgoneion che le decora il petto raffigurante la testa di Medusa, offertole da Perseo.
“I dipinti, datati 1638, – spiega Don Emmanuele F. M. Emanuele di Villabianca, Barone di Culcasi, Presidente della Fondazione Terzo Pilastro – assai significativi anche per il loro contenuto filosofico, morale e allegorico, che supera quello immediato di semplice narrazione di gesta eroiche, appartengono all’ultimo periodo di vita di Rubens, pittore assai prolifico, che soggiornò e lavorò a lungo sia in Spagna (soprattutto a Madrid) sia in Italia, in particolare a Firenze, Genova e Roma. Egli si qualifica come l’indiscusso capofila del Seicento fiammingo, caratterizzato, appunto, da una spinta italianeggiante e classicheggiante, e non a caso fu tra i primi artisti a contribuire in Italia allo sviluppo dell’arte barocca, così distante dalla pittura tipica olandese, i cui soggetti privilegiati erano invece le scene di vita quotidiana della nuova borghesia dei centri urbani: un’arte dalla forte connotazione civile cui nel 2008 ho dedicato, a Palazzo Cipolla a Roma, la grande mostra ‘Da Rembrandt a Vermeer. Valori civili nella pittura fiamminga e olandese del ’600’.” – conclude Emanuele.