Il documentario “Anselm”, diretto da Wim Wenders, rappresenta un’indagine profonda e introspettiva sul percorso artistico e sulla memoria storica personale di Anselm Kiefer, nonché sulle cicatrici collettive di un’intera nazione.
VENEZIA – Anselm Kiefer, artista di calibro mondiale, non si limita a ripercorrere la storia attraverso la sua arte, ma agisce come un catalizzatore per il dialogo e la riflessione, confrontandosi con il trauma e il dolore non solo personali, ma di un’intera collettività.
La sua opera si manifesta come un’incessante ricerca di verità, attraverso un’arte animata da quella “insostenibile leggerezza dell’essere”, che nella sincronia di quest’ultimo con il “nulla”, come spiega Kiefer, riduce l’esistenza dell’intera umanità a poco più di una “goccia di pioggia”. La lente che traguarda le miserie umane sullo sfondo infinito dell’universo, fissa nell’anima di ognuno di noi, l’inermità e la precarietà della vita umana.
Nel corso del documentario, Wenders illustra come Kiefer, nato nel 1945, abbia trascorso la sua infanzia tra le macerie fisiche e psicologiche del dopoguerra. Il suo viaggio personale diventa un’interrogazione profonda sulle possibilità alternative della sua esistenza se fosse nato in un’epoca diversa. Attraverso la sua arte, Kiefer affronta e sublima gli orrori del nazismo, non rifuggendo né rimuovendo tali aspetti tragici, ma affrontandoli frontalmente e trasformandoli in una forma di espressione, talvolta una sorta di grottesca parodia, redentrice.
I luoghi emblematici di Anselm Kiefer
Il documentario ci porta attraverso vari luoghi emblematici della carriera di Kiefer, come la fabbrica di mattoni a Höpfingen in Germania e il suo laboratorio a Barjac in Francia, luoghi dove l’artista trasforma letteralmente il caos del trauma in opere d’arte significative. Kiefer utilizza materiali diversi come argilla, piombo e tessuti per creare non solo opere pittoriche ma vere e proprie installazioni che interagiscono con lo spazio circostante, rendendo tangibile il peso della storia e della memoria.
Le ampie dimensioni delle sue opere e installazioni gli sono necessarie ad accogliere l’enormità di quanto egli intende rappresentare, mentre la sua attenzione per i frammenti e per le macerie, segnalano la sua disposizione archeologica, nel voler interpretare le rovine del passato per poter anticipare le catastrofi del futuro. L’imperfezione esistenziale che tormenta l’artista, gli impone un sovrumano agire da demiurgo, che giunge a plasmare i luoghi stessi in cui lavora e vive, secondo l’immagine del suo stesso fantasma inconscio.
Kiefer: ponte tra arte e filosofia
La sua collaborazione con Joseph Beuys e il riferimento a figure come Heidegger e Celan enfatizzano ulteriormente il suo ruolo di ponte tra filosofia e arte, sottolineando l’importanza di affrontare e metabolizzare il passato per comprendere e forse sanare le ferite della contemporaneità.
Kiefer non si ferma alla rappresentazione dell’orrore, ma cerca di catturare e riflettere sulla resilienza e sulla capacità di redenzione dell’essere umano, un messaggio universalmente rilevante e particolarmente necessario oggi. La ricerca archeologica compiuta dentro di sé, lo proietta verso archeo-opere, che convocano nel presente gli altri tempora, del passato e del futuro, nella consapevolezza della loro co-appartenenza cosa che rende il passato mai completamente passato e il futuro sempre ancora da venire.
Un’arte non finita, mai finita
L’artista si muove lambendo il bordo dell’Ade, consapevole che, come scriveva nell’inno Patmos, Friedrich Hölderlin, “Wo aber Gefahr ist, wächst/ das Rettende auch” (“Ma dove è il pericolo, cresce/ anche ciò che salva”). La storia per Kiefer si compone di una serie di catastrofi, con le quali l’uomo si deve confrontare per potersi riscattare e giungere a una catarsi.
Le estroflessioni creative dell’artista sono artefatti che custodiscono le ritenzioni mnestiche profonde di un’umanità dolente, che vanno riportate alla luce del sole, nella direzione del quale rivolgersi, come fanno i girasoli. La sua arte rimane un’arte incompiuta, non finita, mai finita, perché infinito è il movimento di approssimazione all’irrappresentabile, a quel Kakon, a quel Male che nell’incandescenza del Reale non può mai essere tematizzato ma solo evocato. Questo scarto irriducibile è ciò che rende il suo processo artistico inesorabilmente in-compiuto.
Anselm Kiefer: il custode della memoria
L’artista bambino viene filmato mentre cammina immaginariamente tra le macerie di una città tedesca distrutta dai bombardamenti, disegna nella sua cameretta nel sottotetto, attraversa, catturato, le sale di uno sfarzoso palazzo in cui lavora sua zia, ma allo stesso tempo esplora l’enorme spazio di uno degli atelier, veri e propri hangar, in cui lavora lui stesso anziano. Per ritrovarsi poi a scendere una scaletta di corda che lo deposita nella sala dello Scrutinio di Palazzo Ducale a Venezia, nel bel mezzo della mostra Questi scritti, quando verranno bruciati, daranno finalmente un po’ di luce, che l’artista ha dedicato nel 2023 alla città lagunare.
Camminando nella sala e osservando quelle enormi tele del Venice circle che ricoprono i teleri del Vicentino, del Tintoretto e di Palma il Giovane, sollevando le vesti logore, che l’artista ha fissato su alcuni quadri, irrigidite dal tempo e dalla morte, come vedremo fare dallo stesso Kiefer anziano a Barjac. Per salire sulle sue stesse spalle anziane, in un futuro anteriore in cui il vecchio sosterrà il bambino, entrambi rivolti e forse pacificati, verso un placida superficie lacustre.
Concludendo, dal doc di Wim Wenders su Anselm Kiefer, emerge un artista dal profondo impatto emotivo, un visionario nel campo dell’arte, un custode della memoria collettiva, che sfida le convenzioni e promuove un dialogo continuo tra passato e presente. Una sorta di ieratico cerimoniere che, con la sua algida compostezza, conduce le anime in prossimità di quello che, nella sua ambivalenza originaria e nel suo essere al di là del bene e del male, è sempre stato il luogo del sacro.