Chi entra alla Fondation Louis Vuitton nella primavera-estate del 2025 si trova immerso in un’impresa titanica: David Hockney, 25 costituisce, infatti, il più ambizioso percorso espositivo mai costruito intorno alla figura dell’artista inglese, ma è anche – e soprattutto – un dispositivo curatoriale che si interroga sul senso di una lunga carriera, affidando allo stesso Hockney il ruolo di architetto del proprio tempo.
Oltre 400 opere, dal 1955 al 2025, si distribuiscono in undici stanze, in una successione che non segue pedissequamente una cronologia ma privilegia nuclei tematici e sensoriali. Il risultato è una narrazione che non si accontenta del racconto evolutivo, ma tende piuttosto a restituire la coerenza interna di un artista che ha costantemente mutato linguaggi, senza mai rinunciare a una visione pienamente figurativa del mondo.

Installation views “David Hockney 25”, galerie 10 Hockney Paints the Stage, 2025 Creation of David Hockney & Lightroom
Conception 59 Productions © David Hockney © Fondation Louis Vuitton / Marc Domage
Curata da Suzanne Pagé – direttrice artistica della Fondation e figura centrale nella definizione dell’identità espositiva dell’istituzione – con il contributo di Sir Norman Rosenthal come curatore ospite, e di François Michaud e Magdalena Gemra, la mostra è il frutto di una stretta collaborazione con lo studio di Hockney, rappresentato da Jean-Pierre Gonçalves de Lima e Jonathan Wilkinson.

Gli anni della formazione e le icone pop
L’ingresso della mostra si apre con un’antologia di lavori dagli anni Cinquanta ai Settanta: opere note, già sedimentate nell’immaginario collettivo – da Portrait of My Father (1955) a A Bigger Splash (1967) – che assumono qui la funzione di fondamento visivo e culturale.
L’Hockney californiano, brillante e solare, quello delle piscine e dei doppi ritratti come Mr. and Mrs. Clark and Percy, non è però il protagonista assoluto. Piuttosto, funge da preludio a un discorso che si complica e si stratifica, man mano che ci si addentra nei decenni successivi.

© David Hockney Tate, U.K.
Dal naturalismo all’espansione digitale
Il cuore della mostra è chiaramente orientato sugli ultimi venticinque anni di attività, con un’attenzione marcata per il paesaggio – quello del natìo Yorkshire, della Normandia, e della Londra degli ultimi anni. È qui che Hockney sembra reinventarsi ancora una volta, trovando nella tecnologia non un’alternativa, ma un’estensione della propria sensibilità pittorica.
La serie 220 for 2020, interamente realizzata su iPad, occupa un’intera galleria e costituisce uno dei momenti più radicali della mostra: la superficie digitale diventa luogo di osservazione atmosferica, dove ogni variazione luminosa è colta con minuzia quasi impressionista. Ma a distinguere queste opere da una semplice esercitazione tecnologica è la loro disposizione in sala, pensata da Hockney stesso come una partitura visiva.
In parallelo, le sue “nature morte digitali” – come 25th June 2022, Looking at the Flowers (Framed) – sollevano interrogativi sulla permanenza dell’immagine, sull’oscillazione tra gesto e riproducibilità, tra quadro e schermo.

Photo Credit: Art Gallery of New South Wales / Jenni Carter
La pittura come memoria storica
La sezione dedicata a The Great Wall (2000) rivela una delle dimensioni più intime del pensiero pittorico di Hockney: l’artista si confronta con la storia dell’arte non per stilizzare, ma per sedimentare. Fra Angelico, Van Gogh, Cézanne, Picasso non sono citati: sono assimilati. Lungi dal costruire un pantheon personale, Hockney sembra interessato a un dialogo sottile, in cui l’eco della pittura europea si trasforma in trama nascosta dei suoi stessi lavori.
A questa riflessione si aggiunge la passione per l’opera lirica, evocata in una sala trasformata in teatro performativo, e infine una sorprendente chiusura con i dipinti più recenti, influenzati da William Blake e Edvard Munch. Qui, in After Munch: Less is Known than People Think (2023) e After Blake: Less is Known than People Think (2024), il tono si fa crepuscolare, quasi esoterico. Le forme si rarefanno, i colori si spengono, e la pittura torna a essere enigma.

Un autoritratto in forma di mostra
Più che una retrospettiva, David Hockney, 25 è un autoritratto in forma di mostra. Ogni stanza riflette una decisione formale e concettuale maturata con cura dall’artista, in stretta collaborazione con il proprio entourage. Hockney espone, ma soprattutto compone spazi visivi, orchestra percorsi, mette in scena una riflessione sulla pittura come esperienza totale.
In merito all’esposizione, l’artista ha dichiarato:
“Questa mostra significa moltissimo per me perché è la più grande che mi sia mai stata dedicata – 11 sale della Fondation Louis Vuitton. Alcuni dei dipinti più recenti su cui sto lavorando saranno inclusi, e penso che sarà molto interessante.”

Photo Credit: Jonathan Wilkinson
La vera posta in gioco, allora, non è solo la vastità della produzione, ma la sua capacità di affermare, in piena età avanzata, una postura attiva e visionaria. Una postura che rifugge la nostalgia e che, anzi, trova nel presente e nei suoi strumenti digitali un terreno fertile per rilanciare la pittura nel nostro tempo.
David Hockney 25
Fondation Louis Vuitton, Parigi
Fino al 31 agosto 2025