ROMA – Ogni collezione racconta una storia, ma poche riescono a restituire una visione tanto coerente quanto quella che Gian Enzo Sperone ha deciso di affidare all’Accademia Nazionale di San Luca. Dal 16 maggio al 7 giugno 2025, nelle sale al piano terra di Palazzo Carpegna, viene esposta una selezione delle 33 opere donate da uno dei più influenti galleristi e collezionisti italiani del secondo Novecento.
Non si tratta di una raccolta nata per rappresentare un gusto eclettico, né di un gesto celebrativo in chiave autobiografica. Questa donazione sembra piuttosto rispondere a un progetto meditato: costruire un corpus che tenga insieme secoli diversi e tensioni formali apparentemente distanti, tracciando una linea personale nella storia della pittura. Un’antologia, sì, ma con un’impalcatura ben leggibile.
Una sequenza di figure, dal Seicento al presente
L’asse portante della raccolta è composto da 29 opere tra Sei e Settecento, affidate a una scelta precisa: mettere in dialogo maestri riconosciuti e percorsi marginali, insistendo sulla dimensione figurativa, sulla costruzione del volto e del gesto, sulla resa della tensione drammatica. A guidare il percorso, alcune tele emblematiche: il Loth e le figlie (1640-1645) di Gioacchino Assereto, denso di stratificazioni morali e pittoriche; il Sant’Andrea Apostolo (1655-1656) del Guercino, che condensa pathos e misura in una sintesi tutt’altro che pacificata.
Ma accanto a questi nomi si incontrano presenze più trasversali, come il Ritratto di gentiluomo di Fra Galgario, dove il barocco lombardo si fa meditazione sul carattere, o i due capricci architettonici di Jean Lemaire, passati attraverso la collezione Zeri, che sembrano immaginare una Roma già malinconicamente archeologica.
Il tutto si tiene in equilibrio su un confine mobile tra realismo e invenzione, con una coerenza silenziosa che non ha bisogno di manifesti.
Frammenti ottocenteschi, sponde novecentesche
Spostandosi verso l’Ottocento, l’accento si fa più interno all’Accademia stessa: emblematico il Manio Curio Dentato di Vincenzo Camuccini, già principe dell’istituzione, proveniente dalla collezione Aldobrandini. Accanto a lui, il Ritratto di Antonio Canova firmato John Jackson, che nel 1819 fece discutere la stampa londinese, aggiunge un tocco di mondanità accademica alla sequenza.

Foto di Mauro Coen e Franco Borrelli
Il Novecento prende parola con due opere singolari. Natura morta melodrammatica (1923) di Filippo de Pisis è una composizione teatrale che guarda alla dissolvenza delle forme, mentre Francesco Paolo Michetti, con il suo Ritratto di Don Salvatore Petito, restituisce al volto del teatro popolare napoletano una forza visiva tragica e ambigua, ben lontana dal bozzetto folklorico.
Un contemporaneo che interroga la tradizione
In chiusura, due scelte che non cercano l’attualità, ma un confronto con il peso della tradizione. Costellazione del Leone (1980) di Carlo Maria Mariani è una sorta di affresco meta-accademico: l’autore al centro, vestito con toga e stola, circondato da colleghi, galleristi e critici, in una mise en scène sospesa tra ironia e nostalgia.
All’estremo opposto, Crepuscolo degli Idoli (1997) di Giulio Paolini frantuma la classicità in un dispositivo scenico dove i resti antichi diventano citazioni instabili, memoria in rovina, progetto senza sintesi. È in questi due poli – monumentalità e disgregazione – che si può leggere la tensione sottesa alla collezione.

frammenti di calchi in gesso, siparietto di velluto, basi grigie opache, 240 x 200 x 220 cm
Foto di Mauro Coen e Franco Borrelli
Una donazione che trasforma il contesto
La collezione messa insieme da Gian Enzo Sperone riflette lo sguardo di un conoscitore che ha attraversato il mercato, la critica e le istituzioni con familiarità e rigore. Il criterio non è sistematico né enciclopedico: ciò che emerge è piuttosto un gusto preciso, coltivato nel tempo e disposto oggi a dialogare con la storia dell’Accademia .
La sistemazione delle opere al piano terra di Palazzo Carpegna darà forma stabile a questo gesto. A emergere non è solo il valore artistico delle singole presenze, ma la consapevolezza di un collezionista che sceglie di trasferire la propria raccolta dentro un contesto istituzionale, senza spettacolarizzarla, lasciando che siano le opere a parlare. È in questa sobrietà che il dono trova la sua misura: non tanto come atto fondativo, quanto come passaggio naturale di un percorso già compiuto.
“L’Accademia – afferma Francesco Cellini, presidente dell’Istituzione – è profondamente onorata di ricevere questa prestigiosa donazione. Questa viene a conferma dell’alta considerazione che la nostra istituzione gode anche dai rappresentanti più rilevanti del mondo artistico internazionale per essere punto di sicuro riferimento per la promozione, la valorizzazione e la tutela di ogni forma d’arte visiva. Ovviamente eserciteremo la massima cura e attenzione nel conservare ed esporre“.