«Nel 2025, il nostro iconico edificio chiuderà per una ristrutturazione che consentirà la sua riapertura nel 2030, riprendendo il suo progetto utopico originario.». Con queste parole, pubblicate su Instagram, il Centre Pompidou ha annunciato ufficialmente la sua chiusura per restauri a partire dal 22 settembre 2025. Poche righe, accompagnate dalle immagini del celebre edificio di Renzo Piano e Richard Rogers, illuminato a giorno dai fuochi pirotecnici de “L’ultimo carnevale”, spettacolo dell’artista Cai Guo-Qiang che ha creato un affresco pirotecnico unico sulla facciata dell’edificio. Un addio a metà, però: è infatti lo stesso Centre Pompidou ha dare appuntamento a visitatori e turisti per un ultimo incontro prima dell’inizio dei restauri il 24 e 25 ottobre. con un programma di iniziative gratuite dalle 11 alle 18.
Dopo la chiusura, per cinque anni, il grande polmone culturale di Parigi — con la sua struttura di tubi colorati e scale a vista — entrerà in un periodo di silenzio, necessario per affrontare un vasto progetto di restauro. Il complesso, inaugurato nel 1977 e divenuto simbolo della modernità architettonica europea, non aveva mai conosciuto un intervento di questa portata. Oggi, quasi cinquant’anni dopo la sua apertura, il tempo impone una rigenerazione profonda.

Le ragioni della chiusura sono molteplici. L’edificio necessita di interventi strutturali, di una completa rimozione dell’amianto e di un aggiornamento dei sistemi di sicurezza. Ma il progetto non si limita a un semplice restauro tecnico: il Centre Pompidou intende ripensare se stesso. L’obiettivo è restituire alla città uno spazio più sostenibile, più accessibile e più aperto ai nuovi linguaggi dell’arte e della tecnologia, senza tradire lo spirito utopico e democratico che lo ha sempre animato.
Durante il periodo dei lavori, l’attività del Centro non si interromperà. La direzione ha già annunciato una serie di progetti itineranti e collaborazioni con musei francesi e internazionali, per mantenere viva la presenza del Pompidou al di fuori del suo edificio. Le collezioni viaggeranno, gli artisti continueranno a esporre, e il pubblico potrà incontrare l’istituzione in forme nuove e sperimentali. È, in fondo, un modo per portare lo spirito del Beaubourg oltre le sue mura di vetro e acciaio.


La chiusura, tuttavia, non è priva di ombre. Cinque anni senza il Pompidou rappresentano una sfida per Parigi, che dovrà fare a meno di uno dei suoi centri culturali più vitali. Critici e curatori hanno espresso preoccupazione per l’impatto che questa lunga pausa avrà sul quartiere e sulla vita artistica della capitale. Ma molti altri preferiscono leggere questa sospensione come un atto di coraggio, un gesto necessario per preservare un monumento che ha cambiato per sempre il modo di concepire un museo.
L’emozione con cui il pubblico ha accolto l’annuncio testimonia l’affetto che lega i visitatori al Pompidou. In queste settimane, le sale del centro sono piene come non mai: c’è chi vuole rivedere la collezione permanente un’ultima volta, chi fotografa le facciate colorate con la consapevolezza che presto saranno coperte da impalcature, chi semplicemente desidera salutare un luogo che è diventato parte del paesaggio emotivo della città. Quando riaprirà nel 2030, il Centre Pompidou dovrebbe essere un edificio rinnovato, più verde, più efficiente e pronto ad affrontare le sfide del XXI secolo. Ma soprattutto, promette di restare fedele al suo principio originario: essere un luogo aperto, vivo, attraversato da idee, linguaggi e pubblici diversi. Come scrive il museo nel suo post, questa chiusura non è una fine, ma un nuovo inizio.








