Il Museo inaugura la stagione estiva con una mostra che intreccia archeologia e modernità, sacralità e astrazione, geografie oceaniche e immaginari interiori
“Isole e Idoli” al Man di Nuoro, a cura di Chiara Gatti e Matteo Meschiari, è un viaggio che si muove oltre le rotte del turismo culturale e le scorciatoie del primitivismo, per riflettere sull’origine mitica delle forme, sul potere degli oggetti sacri e sulla persistenza di un pensiero simbolico che, da secoli, attraversa l’insularità come se fosse un codice genetico.
Il fulcro non è il mito dell’artista-esploratore, ma la capacità delle immagini – idoli, stele, monoliti – di incarnare l’invisibile. Al posto di un gesto di replica culturale, emerge la convinzione che tra le divinità cicladiche e le figure scolpite da Gauguin a Tahiti, tra le statuette votive della Sardegna neolitica e i ritratti disossati di Giacometti, esista una corrente profonda e condivisa. Tutto si svolge su un piano archetipico, dove la forma sopravvive al tempo, riemergendo come eco di una stessa urgenza: rappresentare lo spirito attraverso la materia.

L’isola come campo morfogenetico
La mostra rifiuta l’idea dell’isola come periferia, approdo o naufragio. Secondo le riflessioni di Matteo Meschiari, è l’acqua a generare senso, non la terra. Le isole diventano punti di condensazione di energie mitiche, microcosmi dove l’identità si forma nella relazione dinamica tra roccia e marea, tra isolamento e interconnessione. È in questo spazio interstiziale che si colloca il dialogo fra antico e moderno.
Da Gauguin a Matisse, da Arp a Pechstein, passando per Miró e Giacometti, gli artisti convocati sono interpreti di un universo simbolico che emerge in ogni latitudine con la stessa forza: quella della figura che sorregge il mistero, che resiste allo sguardo e lo oltrepassa.
Figure sacre, corpi muti, geometrie primordiali
Gli idoli neolitici esposti – provenienti da collezioni sarde e francesi, dal Musée du Louvre, dal Menhir Museum di Laconi e dai Musei della Bretagna – non sono “preistorici”, ma attuali nel loro silenzio operativo. Custodi di un sapere che si trasmette per via intuitiva, anziché storica. Le loro forme ritornano nelle sculture lignee di Gauguin, nella sintesi visiva di Arp, nei volti oceanici di Pechstein. Rappresentano una memoria senza parole, ma pienamente politica nella sua resistenza al consumo visivo.
Il punto di contatto tra questi oggetti è la loro frontalità sacrale, l’assenza di decorazione, la fissità degli sguardi. Figure che, nella loro ieraticità, respingono il pittoresco e rifiutano ogni tentazione narrativa. Come scrive Chiara Gatti, “sono dee madri, pietose e grandiose allo stesso tempo”, vicine alla Melencolia di Dürer e lontane da ogni stereotipo sull’arte “primitiva”.
Sardegna, laboratorio dell’idolo
Una sezione centrale della mostra è dedicata alla Sardegna preistorica, intesa non come sito archeologico, ma come spazio simbolico attivo, ancora capace di generare visioni. Le quattro costellazioni tematiche – toro, Dea Madre, capovolto, menhir – non ordinano il passato secondo categorie museali, ma lo rilanciano come sfida all’iconografia dominante. Figure scolpite nella pietra che dominano il paesaggio come presenze perenni, capaci di resistere al tempo e ai codici dell’attualità.

Allestire un arcipelago
Il progetto allestitivo di Giovanni Maria Filindeu evita l’effetto scenografico e costruisce una mappa sensibile, ispirata alla logica non gerarchica dell’arcipelago. Le opere sono disposte in insiemi mobili, uniti da materiali evocativi come la sabbia lavata o il celenit, che danno consistenza tattile al concetto di insularità. Lo spazio diventa così non contenitore ma organismo, attraversabile per salti, derive, emersioni.
Vademecum
ISOLE E IDOLI
ISLANDS AND IDOLS
27 Giugno – 16 Novembre 2025
Via Sebastiano Satta 27 – 08100 Nuoro
tel +39.0784.252110
Orario: 10:00 – 19:00
(Lunedì chiuso)