FIRENZE – “La Madonna della Gatta” , capolavoro dell’artista urbinate Federico Barocci, maestro della pittura della Controriforma, giunse a Firenze nel 1631, insieme ai beni dell’eredità di Vittoria della Rovere, per effetto del matrimonio con Ferdinando II de’ Medici, e fu originariamente collocata nel suo appartamento d’inverno, al primo piano di Palazzo Pitti.
Successivamente il grande olio (2,33m x 1,79m, 1598 circa) finì invece per essere relegato nei depositi. Oggi finalmente torna protagonista nella sala di Berenice della Galleria Palatina, insieme ad altre opere di Barocci riallestite in questo spazio: il Ritratto di fanciullo e la copia coeva dall’Annunciazione.
Come spiega il direttore delle Gallerie degli Uffizi Eike Schmidt: “il nuovo allestimento nella sala di Berenice rende evidente l’importanza dello stile di Federico Barocci per la pittura seicentesca, elemento che si nota particolarmente grazie alla esposizione accanto alla Adorazione dei Magi di Luca Giordano ed anche alla presenza di dipinti seicenteschi della scuola fiorentina. Una composizione di opere – sottolinea Schmidt – che esalta le scelte cromatiche di Barocci, l’articolazione astratta dei suoi panneggi, il senso delle sfumature atmosferiche, fondamentali per la pittura del secolo successivo. Pertanto si può dire che la collocazione in prospettiva diacronica della Madonna della Gatta a Palazzo Pitti, è complementare all’allestimento della Madonna del Popolo e del Noli me tangere nella sala del Pilastro degli Uffizi, dove i due capolavori del maestro urbinate fanno parte del canto polifonico di dipinti della pittura della Controriforma organizzati in maniera sincronica”.
Anna Bisceglia, curatrice della pittura del Cinquecento delle Gallerie degli Uffizi, ci offre una lettura del capolavoro. “Quella che il pittore ha immaginato per questo dipinto, eseguito intorno al 1598, è una delle più delicate e teatrali interpretazioni della maternità. – spiega Bisceglia – Giuseppe solleva la tenda e introduce subito lo spettatore tra le mura domestiche, dove la Vergine sta cullando il suo bambino. La particolarità da cui il dipinto prende la sua denominazione è proprio la gatta che allatta i suoi cuccioli, sistemata dal pittore giusto al centro della scena, morbidamente accoccolata tra le vesti di Maria”. “Un dettaglio – sottolinea la curatrice – che ha la capacità di proiettare in un sol colpo l’immagine sacra in una dimensione quotidiana, vera, di affetti semplici e moti dell’anima che lo spettatore sente vicini a sé e che lo inducono a sentirsi parte di quel dialogo gentile di sguardi e di gesti. Ed è proprio in questa straordinaria capacità di far convivere una sentimentalità accessibile, espressa con una rappresentazione chiara e immediata, con l’eleganza di una materia pittorica raffinatissima che Barocci si rivela lo straordinario protagonista di una stagione di passaggio, che raccoglie l’eredità della grande pittura manierista e la lancia decisamente nell’universo Barocco”.
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