ROMA – È un lavoro intimo e sicuramente non di immediata lettura quello di Antonello Viola (Roma, 1966). Un lavoro meticoloso, rigoroso, ammaliante nella sua complessità che, tra stratificazioni di colore e materia, è proiezione di un’inquietudine che serpeggia e si insinua tra le campiture dorate. Una temperie interiore quella dell’artista mai urlata, sempre restituita con garbo e quasi sussurrata. I sussurri richiedono attenzione e l’arte di Viola esige tempo, non si guarda in velocità. La sua pittura è un luogo di riflessione, si osserva, si contempla, con estrema lentezza, perché solo prendendosi quel tempo necessario si coglie la profondità e il senso anche di uno spazio, solo apparentemente “disabitato”.
Uno spazio che tende ad espandersi oltre la bidimensionalità del dipinto, aprendosi oltre il definito, in altre direzioni.
Tempo e spazio giocano un ruolo importante in una pittura dominata dal metodo, dalla matericità dell’oro che forse tende a coprire, a nascondere, ma da cui si scorgono crepe e colature di colore che lasciano intravedere altro.
Per Viola la pittura è studio, ricerca, ma anche irriducibile presenza immanente, attiva e politica. Le parole per tradurla potrebbero essere marginali, se non addirittura inefficaci e inadeguate. Probabilmente perché la sua pittura non deve essere necessariamente e totalmente “decifrabile” nella sua astrazione e nel suo silenzio tumultuoso.
Viola è attualmente in mostra, fino al 27 giugno 2022, alla Galleria Nazionale di arte moderna e Contemporanea di Roma con Aperto confine sulla Gorgone di Sartorio, un progetto che presenta sette lavori su carta giapponese, nato dallo studio di due bozzetti preparatori di Giulio Aristide Sartorio per la grande tela La Gorgone e gli Eroi (1897) .
Partiamo dall’attuale mostra alla Galleria Nazionale e dal confronto con Giulio Aristide Sartorio. Puoi raccontare il perché di questa scelta e la nascita del progetto?
Questo progetto ha un’origine molto intima. Frequento da tempo e anche molto spesso la Galleria Nazionale e talvolta mi trattengo davanti ad alcune opere in particolare. Nel 2017, quindi parecchio tempo fa, ho scovato alla Galleria un bozzetto di Sartorio, uno studio a pastello a polvere, che rappresenta la parte inferiore della figura della Medusa, protagonista appunto del dipinto “La Gorgone e gli Eroi”. Sartorio nel disegno a pastello credo si sia espresso al meglio, rivelandosi molto più agile, più libero, più disinvolto. Riuscendo ad avere una visione differente e forse più lucida rispetto alla realizzazione di dipinti monumentali, dove probabilmente sentiva la responsabilità di dover raccontare qualcosa di più importante e complesso.
Questo bozzetto, dunque, già all’epoca mi aveva colpito particolarmente. È infatti strepitoso, di una compostezza, una pulizia e una morbidezza suprema. Tuttavia, in quello specifico momento, il mio lavoro procedeva in tutt’altra direzione, anche se ogni volta tornando alla Galleria Nazionale questo studio continuava a suggerire sensazioni differenti, anche in relazione ai miei cambiamenti personali. Nel frattempo, nel 2020, scopro anche un secondo bozzetto che raffigura la parte superiore della Gorgone. Avevo appena realizzato una mostra (“Anche Bach mi ha salvato“, n.d.r) alla Galleria romana Francesca Antonini Arte Contemporanea, venivo quindi da un momento di chiusura e sentivo il bisogno di uno stimolo che arrivasse dal di fuori. Decido quindi di dedicarmi allo studio e alla ricerca, prendendo spunto proprio dalle foto scattate a questi due disegni, ma senza finalizzarlo a un progetto vero e proprio. Continuo a ragionarci sopra e inizio a lavorare, non sapendo bene cosa ne sarebbe scaturito. Realizzo una serie di lavori su carta, che per alcune vicissitudini arrivano ad essere visionati dalla Direttrice della Galleria Nazionale, Cristiana Collu e, in tempi piuttosto rapidi, mi viene proposto di esporli proprio in Galleria. Non c’è nulla di più bello che esporre un progetto immaginato per uno spazio da cui sono scaturite una serie di particolari suggestioni. Voglio specificare però che il confronto non è con Sartorio e con la sua pittura, ma con l’idea. Non ho mai pensato di confrontarmi con l’artista, anche perché sarebbe molto presuntuoso e forse neppure particolarmente interessante. Quindi ci tengo particolarmente a ribadire che si tratta piuttosto di un dialogo.
Hai fatto riferimento all’idea. Stiamo parlando di una pittura non didascalica, non narrativa, puramente concettuale…ma che racconta parecchio di te
La pittura è concettuale per definizione. Questa è una conditio sine qua non. Se così non fosse non avrebbe senso. Il mio lavoro è quindi esclusivamente e assolutamente concettuale. Le scelte che faccio sull’opera – dimensioni, spazi, artifizi cromatici – sono anch’esse di natura concettuale.
È vero. La mia pittura racconta molto di me, ovviamente in maniera metaforica. Le cose che esprimo attraverso il mio lavoro sono sempre legate a particolari condizioni e momenti. Le opere esposte nella mostra del 2020 dichiaravano una determinata situazione, quelle presentate oggi in questa mostra ne esplicitano un’altra.
La tua pittura si può considerare iconoclasta?
No, assolutamente no. Non sono affatto un iconoclasta. Il fatto che io racconti a mio modo il mondo che mi circonda attraverso delle evocazioni non significa affatto che io sia iconoclasta. Per me comunque la pittura è immagine, racconto, descrizione, bisogna poi sempre capire in che misura e con quale intensità venga restituito tutto questo.
“Quasi monocromo”, così è stata definita la tua pittura. Una pittura lenta, da contemplare, che implica, o meglio esige, anche un rapporto particolare con il tempo
Ecco mi hai tolto la parola di bocca. Stavo proprio per far riferimento al tempo. La mia è una pittura che basa quasi tutta la sua esperienza sullo scorrere del tempo. Non solo come esperienza personale, ovvero il tempo che ti cambia, ti migliora o ti peggiora, ma proprio il tempo in senso assoluto, che cambia il corso delle cose. Il mio è un lavoro sul tempo. Si deve avere la pazienza di guardarlo con attenzione, dandogli la possibilità di parlarti, qualora ci riesca. Questo è fondamentale, non si tratta di un lavoro a cui puoi dare uno sguardo di sfuggita.
Hai parlato del tempo, ma il tuo è anche un lavoro sullo spazio. Ti sei descritto come molto rigoroso, utilizzi formati ben precisi per i tuoi dipinti, che siano singoli o multipli. Eppure la tua pittura suggerisce un’apertura oltre quella determinata dimensione, penso ai bordi non definiti in cui si scorgono altri colori
Il tempo lavora in una direzione e contemporaneamente c’è anche un’idea di spazio. Non c’è dubbio. Mi piacerebbe che il mio lavoro suggerisse appunto un senso di respiro e di apertura.
Rispetto invece alla scelta dell’oro, come ci sei arrivato? È un riferimento al passato? Icone bizantine, medioevo? Infine, l’oro è una copertura, una protezione, l’ultimo strato per chiudere definitivamente qualcosa?
Molto di quello che faccio si basa sulla conoscenza di quanto mi ha preceduto. Se c’è una cosa però che nella pittura non mi piace, perché trovo che sia un modo di esprimersi totalmente bloccato, sono proprio le icone bizantine. Non ho mai fatto nessuna riflessione su di esse. Le trovo povere concettualmente, un’esperienza artistica veramente troppo rigida. Per l’uso dell’oro, da un punto di vista formale, i miei riferimenti sono piuttosto Simone Martini, Gentile da Fabriano, ma anche Cavallini, i mosaici di Ravenna, quelli di Santa Maria in Trastevere. Queste sono esperienze che si sono sedimentate, lasciando delle memorie, dei ricordi. Ovviamente quando mi esprimo tengo sicuramente conto di queste esperienze, ma non in maniera diretta e assoluta. Rispetto all’utilizzo dell’oro come chiusura o apertura, diciamo che attraverso le stratificazioni di colore tendo a costruire uno spazio con i bordi che vengono confinati e aperti al tempo stesso. Lo strato di oro serve sia a chiudere che aprire. Nel tempo ho lavorato non solo con l’oro, ma anche con il rame e altri metalli. In questa specifica serie alla Galleria Nazionale ho usato l’oro bianco che, al di là della sua preziosità, ha una sua specifica qualità materica, una “sensibilità” assoluta, quasi erotica, anche tattile, che nessun altro materiale possiede.
Quando parli di coprire potrebbe essere un modo per nasconderti, per non svelarti totalmente. Crei confini, ma non completamente, ti chiudi e ti apri, ma non troppo, sembri muoverti sempre sul limite delle cose…
Forse si, non ci avevo pensavo. Probabilmente è possibile. In fondo non amo espormi totalmente.
Questo non è in contrasto con la figura dell’artista?
Preferisco la compostezza. La figura dell’artista non deve essere necessariamente urlata. In questo scorcio di millennio a volte l’artista tende ad esporsi eccessivamente, quasi in una sorta di teatrino. È una natura che non mi appartiene e non vado in quella direzione. Faccio il mio lavoro per produrre delle cose, non per espormi. Dipingere è politico. Mi espongo politicamente facendo un lavoro di un certo tipo, secondo una determinata modalità etica. Esprimersi politicamente significa vivere il lavoro politicamente ed eticamente, evitando azioni puramente formali e pretestuose, prive di sostanza.
2022 Aperto confine sulla gorgone Crediti Daniele Molaioli Studi da 1 a 7 sui bozzetti della Gorgone. Galleria Nazionale
Da questo punto di vista, soprattutto quando parli di etica, quanto è stata importante la tua formazione con Enzo Brunori all’Accademia di Belle Arti di Roma?
È stata molto importante. Dal punto di vista formale Brunori è stato un maestro faticoso, ho dovuto stravolgere, ripensare, ricalibrare alcune cose. Ma dal punto di vista etico e politico è stato fondamentale. Ho trovato assoluta empatia con la sua posizione di uomo e di artista. Mi ha aiutato a rimanere nell’alveo della pittura, eludendo appunto quella pretestuosità vuota di cui parlavo prima. Spesso oggi la pittura non è l’obiettivo ma il mezzo tragico con cui gli artisti cercano di essere contemporanei.
Rispetto ad altri linguaggi espressivi come ti poni?
Per me conta la qualità. Si può utilizzare qualsiasi linguaggio, di diversa natura. Non mi pongo limiti di fronte a nessuna forma espressiva.
Parlando di tecnica, tu hai abbandonato la tela scegliendo la carta giapponese. C’è un motivo particolare?
La tela è sicuramente il supporto principe, ma non va bene per tutti. Per quanto mi riguarda la tela è troppo “rugosa” e ha una elasticità non adatta a quello che voglio raccontare in questo momento. Ho trovato nella carta giapponese una sensibilità coerente con il mio lavoro. La utilizzo con più facilità ed è per me un supporto ideale. La tecnica assoluta comunque non esiste, è molto personale. Le mie scelte tecniche tengono poi sempre conto delle esigenze di ordine concettuale.
Nel 2020 hai realizzato la mostra “Anche Bach mi ha salvato”. Qual è il rapporto tra musica e pittura nel tuo caso?
Quando lavoro molto spesso ho bisogno di alleggerire la mia concentrazione. Se sto troppo dentro l’opera rischio di perdere la misura, la freschezza e sbagliare con grande facilità. La musica, ma anche la parola, invece, mi aiutano a respirare, a prendere la giusta distanza. È la compagnia di cui ho bisogno mentre lavoro. Bach (in particolare le Suite e le Variazioni) mi aiuta ad avere un livello di concentrazione alto, ma non altissimo. Ascoltarlo ad alto volume mi accompagna nella maniera corretta e in coerenza con quello che sto facendo. Tra l’altro lavorando io stesso sulle variazioni – cromatiche, di superficie, di struttura dell’opera – ho trovato assoluta empatia con la sua musica.
Domanda di rito: prossimi progetti?
Diciamo che al momento, dopo questo progetto, che è stato comunque molto impegnativo, anche se si compone di sette lavori, cerco di stare tranquillo, di far fruttare l’esperienza vissuta per poi ripartire per la prossima stagione. Farò sicuramente una personale a Bolzano e poi con la Galleria Francesca Antonini saremo presenti ad Artissima a Torino (dal 4 al 6 novembre 2022).
Vademecum
Galleria Nazionale d’Arte
Moderna e Contemporanea
viale delle Belle Arti 131
Roma
Ingresso accessibile
via Gramsci 71
Orari di apertura
da martedì a domenica:
9.00 – 19.00
ultimo ingresso 45 minuti
prima della chiusura
Biglietti
intero: € 10,00
ridotto: € 2,00
T + 39 06 32298 221