Dopo oltre cinquant’anni di chiusura, la Grotta di Diana a Villa d’Este riapre il 6 maggio 2025. Un restauro attento ne restituisce la complessità storica e simbolica, tra suggestioni mitologiche e raffinato artificio manierista
Tra i giardini pensati da Pirro Ligorio per Villa d’Este, la Grotta di Diana ha sempre occupato una posizione centrale, simbolica e concettuale. Realizzata tra il 1570 e il 1572, a ridosso del palazzo di Ippolito II d’Este, la grotta si inserisce nel disegno di una natura “addomesticata” e rielaborata attraverso l’arte, secondo le logiche del tardo manierismo romano.
Dopo più di cinquant’anni di chiusura e un lungo degrado, questo ninfeo torna ora accessibile grazie al restauro promosso dall’Istituto autonomo Villa Adriana e Villa d’Este – VILLÆ, con il sostegno di FENDI. Un intervento che ha restituito leggibilità a uno dei momenti più complessi e sofisticati della cultura figurativa del Cinquecento.
“Anche questo intervento si propone di esplorare e decodificare le infinite suggestioni di Villa d’Este, mettendo in luce come questo luogo continui a emanare la sua magnificente bellezza, rivelando a tratti il sofisticato progetto culturale che ne fu alla base” – dichiara Andrea Bruciati Direttore dell’Istituto di Villa Adriana e Villa d’Este.
Un’architettura simbolica tra natura e artificio
La Grotta di Diana incarna una delle espressioni più pure della poetica manierista, nella quale la meraviglia e il disorientamento sono strumenti della conoscenza.
L’impianto architettonico, a croce, alterna spazi voltati, fontane rustiche, scogliere artificiali e mosaici policromi, composti con materiali eterogenei: conchiglie, paste vitree, pietre dure, frammenti di tartaro calcareo.
L’effetto, esaltato dalle variazioni luministiche, richiama l’ambiente marino o carsico, evocando il mondo delle metamorfosi ovidiane che costituivano il principale repertorio iconografico della Grotta.
L’intero ciclo decorativo riflette il gusto per la fusione tra elementi naturali e invenzione artistica: sulle volte si inseguono scene di ambientazione marina, mentre sulle pareti e negli ovali si ritrovano episodi tratti dalle Metamorfosi, tradotti in un linguaggio visivo complesso e allusivo.
Le cariatidi canefore ancora in situ, portatrici di cesti colmi di frutti dorati, e l’aquila bianca al centro della volta — chiara allusione araldica alla famiglia d’Este — contribuiscono a costruire un programma simbolico che intreccia potere, sapienza e dominio della natura.
La stratificazione dei secoli e il restauro
Il tempo e gli interventi succedutisi nei secoli hanno profondamente segnato la struttura: perdite, rifacimenti, degrado materico hanno compromesso non solo l’integrità fisica, ma anche la chiarezza del progetto originario.
Le analisi diagnostiche preliminari condotte tra il 2023 e il 2025 hanno evidenziato criticità diffuse: ossidazione degli elementi metallici, fragilità delle malte, erosione dei mosaici e deterioramento delle superfici scultoree.
Il restauro ha mirato a recuperare la complessità originaria del ninfeo, intervenendo sia sulle superfici interne sia sulle strutture architettoniche esposte agli agenti atmosferici. Particolarmente significativa è stata la decisione di installare una vetrata protettiva nella loggia affacciata su Roma, limitando l’azione erosiva del vento senza alterare il rapporto visuale con il paesaggio circostante — un elemento fondamentale nell’impianto concettuale di Villa d’Este.
Anche l’intervento sull’illuminazione, calibrato per valorizzare le variazioni materiche e cromatiche delle superfici, è stato pensato come parte integrante della restituzione storica della Grotta, restituendo il senso originario di luogo di meraviglia, transizione e metamorfosi.
Una riscoperta storica oltre il recupero materiale
La riapertura della Grotta di Diana riporta l’attenzione su uno degli aspetti meno noti ma più significativi del progetto di Villa d’Este: la tensione costante tra natura e artificio, tra rovina e creazione, tra mito e architettura.
Non semplicemente un luogo ornamentale, la Grotta costituiva un passaggio iniziatico all’interno del giardino manierista, uno spazio dove il visitatore veniva condotto a interrogarsi sui mutamenti della materia e del tempo.
Attraverso questo intervento, Villa d’Este riafferma la propria natura di laboratorio poetico e intellettuale del Rinascimento maturo, un teatro in cui le forze della natura e dell’immaginazione umana si incontrano, si scontrano e si trasformano.
Il sostegno di FENDI, in occasione del suo centenario, si inserisce in una visione di mecenatismo che guarda al patrimonio storico come strumento vivo di formazione estetica e culturale.
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