TORINO – C’è un momento in cui la storia dell’arte coincide con la regia politica del potere: accade a Genova nel suo secolo d’oro, quando la Repubblica, sotto la guida elettiva dei dogi, costruiva attorno alle famiglie patrizie un sistema di rappresentanza visiva capace di rivaleggiare con le grandi monarchie europee. A questo universo fastoso e raffinato si ispira la mostra “Magnifiche collezioni. Arte e potere nella Genova dei Dogi”, ospitata alla Reggia di Venaria dal 10 aprile al 7 settembre 2025, nelle Sale delle Arti.
L’esposizione, a cura di Gianluca Zanelli, Marie Luce Repetto, Andrea Merlotti e Clara Goria, nasce dalla collaborazione tra il Consorzio delle Residenze Reali Sabaude e i Musei Nazionali di Genova – Palazzo Spinola e Galleria Nazionale della Liguria. Il cuore pulsante della mostra sono le opere provenienti proprio da Palazzo Spinola di Pellicceria, la residenza nobiliare genovese che, già nel Seicento, Rubens immortalava nel volume I palazzi di Genova come emblema di una regalità repubblicana fondata sul prestigio familiare.
La magnificenza della Repubblica
Un centinaio tra dipinti, sculture, argenti, arredi e bronzi raccontano il collezionismo delle grandi famiglie genovesi — Spinola, Doria, Pallavicino, Balbi — che, attraverso matrimoni strategici e acquisizioni oculate, formarono raccolte degne delle corti più raffinate. Le opere, oggi custodite in parte presso le collezioni statali liguri, giungono a Venaria insieme a importanti prestiti museali e collezionistici, ricomponendo episodi dispersi di un racconto colto e sontuoso.
Il percorso, suddiviso in sei sezioni, offre una lettura articolata del barocco genovese, ma anche della sua apertura internazionale. È una Genova cosmopolita quella che emerge: approdo di artisti fiamminghi, attrattiva per maestri toscani e lombardi, e fertile terreno per lo sviluppo di una scuola pittorica autonoma e vivace.

Ritratti di potere, invenzioni barocche
Ad aprire la mostra è un’opera simbolo: il Ritratto equestre di Giovan Carlo Doria eseguito da Rubens, testimonianza della volontà di auto-rappresentazione aristocratica secondo modelli dinastici europei. Accanto a lui, Van Dyck racconta la dignità della nobiltà genovese con ritratti di squisita eleganza formale. Ma oltre ai fiamminghi si impongono anche gli italiani: Guido Reni, Orazio Gentileschi, Carlo Maratti, Luca Giordano, Hyacinthe Rigaud, Angelica Kauffman, fino ad Anton von Maron, accompagnano lo spettatore verso il tramonto della Repubblica.
Non meno centrale è il contributo dei pittori genovesi, da Bernardo Strozzi a Domenico Piola, da Giovanni Benedetto Castiglione detto il Grechetto a Gregorio De Ferrari, interpreti di una cultura visiva radicata nella città ma capace di dialogare con le tendenze europee. Alcuni, come il Baciccio, nato a Genova ma protagonista a Roma, incarnano una doppia appartenenza geografica e stilistica.
La collezione come linguaggio
Magnifiche collezioni restituisce l’idea della raccolta artistica come costruzione politica e culturale. Nella Genova dei dogi, ogni dipinto, ogni argento da parata, ogni arredo era parte di una grammatica del potere, destinata a impressionare ospiti, ambasciatori, e rivali. Un sistema raffinato, codificato nei Rolli, le dimore patrizie che formavano una rete di ospitalità ufficiale, oggi patrimonio UNESCO.


La Reggia di Venaria, con la sua vocazione alla narrazione delle corti e delle magnificenze regali, accoglie questa eredità con coerenza e rigore. Lungi dal proporre una semplice parata di capolavori, la mostra mette in scena un mondo in cui arte e politica si sovrappongono, lasciando tracce ancora oggi leggibili nei palazzi, nelle opere e nella memoria della città.