FIRENZE – “Dalla domanda ‘dov’è la battaglia di Anghiari?’ si è passati a ‘ma c’è mai stata la battaglia di Anghiari?” – Questo quanto affermato da Francesca Fiorani, docente di storia dell’arte moderna della University of Virginia, che ha preso parte al convegno che si è tenuto nell’auditorium Vasari delle Gallerie degli Uffizi a Firenze, mercoledì 7 ottobre.
Un team internazionale di studiosi, dopo lunghe ricerche, durate circa sei anni, ha infatti pubblicato il volume scientifico “La Sala Grande di Palazzo Vecchio e la Battaglia di Anghiari di Leonardo da Vinci. Dalla configurazione architettonica all’apparato decorativo” (Olschki), curato da Roberta Barsanti, Gianluca Belli, Emanuela Ferretti e Cecilia Frosinini. I risultati delle indagini sono stati spiegati nel convegno fiorentino, a cui hanno preso parte Cinzia Maria Sicca Bursill-Hall, professore ordinario di storia dell’arte moderna dell’Università di Pisa, Francesca Fiorani, docente di storia dell’arte moderna della University of Virginia, Marcello Simonetta, storico e ricercatore a Parigi e per The Medici Archivi Project. A conclusione del dibattito sono intervenute anche due delle curatrici del volume, Emanuela Ferretti, professore associato di storia dell’architettura dell’Università di Firenze, oltre che dalla stessa Cecilia Frosinini.
Fiorani ha affermato: “Ci siamo chiesti cosa veramente avesse fatto Leonardo in quella che allora era la Sala Grande’ di Palazzo Vecchio. La nostra conclusione è stata che Leonardo non abbia mai dipinto la battaglia sul muro della sala dove per tanto tempo è stata cercata. L’esistenza dei cartoni preparatori è provata e documentata. Quella del dipinto, che conosciamo solo grazie a copie di altri fino ad oggi pervenute, invece no. I materiali che vennero forniti a Leonardo erano solo funzionali al cartone e alla preparazione della parete su cui avrebbe dovuto essere realizzato. Ma la preparazione stessa del muro andò male; e dunque la Battaglia non fu mai dipinta”.
Marcello Simonetta, storico e ricercatore a Parigi e per The Medici Archivi Project, ha quindi aggiunto: “in pratica ci si è accaniti per decenni ad andare a caccia di un fantasma. Anche in base all’idea, colpa di un libro di Dan Brown, secondo cui la frase ‘Chi cerca trova’, vergata da Vasari in uno stendardo del suo affresco sulla Vittoria di Cosimo I a Marciano in Val di Chiana, fosse una sorta di gioco ad enigma, un indizio a rintracciare nella parete sottostante il capolavoro perduto di Leonardo. Questa idea si è rivelata totalmente infondata”.
Da più di cinquant’anni si discute dunque se sotto gli affreschi di Giorgio Vasari vi sia il leggendario dipinto di Leonardo, ma le indagini svolte finora non hanno dato riscontri definitivi a questa ipotesi.
Per il pool di esperti autori del monumentale libro le vicende storiche e costruttive del Salone e di Palazzo Vecchio attestano che nel corso della prima metà del Cinquecento avvennero più volte trasformazioni, con demolizioni e ricostruzioni tali che nessuna traccia del capolavoro – se mai ci fosse stata – avrebbe potuto sopravvivere.
Per Roberto Bellucci, ex restauratore dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze e Cecilia Frosinini, direttrice del Settore restauro pitture murali dell’Opificio delle Pietre Dure, Leonardo abbandonò il cantiere nella fase iniziale a causa di una serie di imprevisti che impedirono al genio di “andare avanti e affrontare la parte pittorica vera e propria”.
Frosinini ha poi parlato degli aspetti dell’indagine riguardanti la ricerca del dipinto effettuata nel 2011 anche attraverso fori effettuati nel grande dipinto di Giorgio Vasari, sotto il quale si riteneva potessero rinvenirsi tracce del perduto capolavoro di Leonardo. “Uno di quei tre famosi prelievi, tirati fuori bucando il lavoro del Vasari, fu magnificato come il ritrovamento del ‘Nero della Gioconda’. Ma non esiste alcun nero tipico di Leonardo: al tempo tutti gli artisti usavano gli stessi pigmenti, dal Medioevo fino alla metà del Settecento, con l’introduzione dei pigmenti di sintesi artificiale. Il punto è che questi tre celebri prelievi poi sono scomparsi: l’Opificio voleva analizzarli a fondo, ma non ci sono mai ‘stati dati. In ogni caso, in base alle descrizioni delle analisi chimiche dei materiali rinvenuti, Mauro Matteini, il più famoso esperto chimico nel campo dei Beni Culturali, ha chiarito nel suo saggio nel volume che non si trattava affatto di materiali pittorici ma semplicemente di elementi comuni a ritrovarsi in murature del tempo”.
Il mistero del capolavoro dell’artista-scienziato del Rinascimento, almeno per il momento, rimane dunque tale.
“Dopo decenni di ricerche sulla battaglia di Anghiari – ha commentato il direttore del museo Eike Schmidt – possiamo dire che gli Uffizi, pur senza essere stati parte attiva di questa indagine, sono senza ombra di dubbio il luogo migliore per presentare i risultati di uno studio così autorevole. Ed uno degli insegnamenti più preziosi che possiamo trarre dal grande lavoro svolto è questo fortissimo richiamo al rigore della metodologia scientifica: uno strumento imprescindibile per affrontare ricerche su temi così importanti e delicati”.