ROMA – È visibile su MYmovies ONE, il canale streaming del festival Lo schermo dell’arte – prima piattaforma italiana interamente dedicata al grande cinema d’artista – il documentario “Banksy does New York”, che segue passo passo “Better out than in” (Meglio fuori che dentro) la mostra lanciata nell’ottobre 2013 dall’esponente di spicco della street art mondiale, il misterioso Banksy.
L’artista per un mese realizzò quotidianamente, nei posti più impensabili di New York, creazioni che trasformarono la città in una galleria a cielo aperto e scatenarono un’autentica caccia al tesoro.
Le sue tracce hanno sollevato un dialogo, ora entusiasta, ora polemico, con i newyorkesi: il film che ne raccoglie gli umori è una testimonianza importante sul rapporto tra l’artista e il suo pubblico.
Lo stesso Banksy aveva detto di “Better Out than In”: «Fuori è dove l’arte dovrebbe vivere: in mezzo a noi. La street art non è una moda passeggera. Forse le ultime migliaia di anni di storia dell’arte sono state un’interruzione, quando l’arte è stata messa al chiuso, al servizio della chiesa e delle istituzioni. Ma l’arte appartiene di diritto ai muri delle caverne delle nostre comunità, dove può essere un servizio pubblico, provocare discussioni, dare voce alle preoccupazioni, formare le identità».
Banksy e il rapporto con la collettività
“Banksy does New York” riesce a far vedere come il rapporto con la collettività sia un’estensione della performance dell’artista, che crea per il piacere non del denaro ma per quello della connessione amorosa con l’altro, tanto che Banksy non sembra minimamente preoccuparsi della monetizzazione dei suoi lavori: chi li trovava poteva prenderli e venderli, se ci riusciva. Come ad esempio la Sfinge nel Queens fatta di mattoni rotti, portata via con un camion da alcuni ragazzi della zona e poi data in consegna a un mercante perché trovasse un acquirente.
Le pitture e le varie installazioni di Banksy sono stati inseguite, fotografate, vandalizzate, cancellate, restaurate, copiate, protette, rubate ed esposte in gallerie a un prezzo. Chi in quei giorni acquistò per strada disegni di Banksy a 20 dollari, oggi possiede un oggetto che ne vale centinaia di migliaia.
Ma il denaro è un dono che l’artista lascia al pubblico: lui, con ogni evidenza, è appagato dall’attenzione, dal clamore, dal bisogno dell’altro di dialogare con le sue costruzioni, di possederle. Non a caso uno dei suoi disegni su una parete di New York dice: “Ciò che facciamo in vita risuona per l’eternità”. In fondo parlava di se stesso, ma anche di ciascuno di noi perché è vero, nel bene e nel male. C’è poi ancora il cuore rosso, coperto di cerotti: immagine che penetra universalmente in maniera subliminale.
Banksy e il suo linguaggio essenziale
La capacità di Banksy è possedere un linguaggio visivo essenziale, primitivo, facilmente comprensibile, sintesi di profondità e tenerezza verso le creature. Colpisce infatti che anche i suoi più agguerriti critici, in “Banksy does New York” spendano una parola delicata per Sirens of the Lambs, Sirene degli agnelli, istallazione fatta di un camion di consegna ai mattatoi che a quel tempo per due settimane girò per tutta la città. Gli animali di peluche piangono come bambini, impotenti affacciati a fessure del furgone che li porta al macello: ed è impossibile non pensare che è opera dell’uomo e non ricordare che a volte è violenza diretta all’uomo stesso.
Regia di Chris Moukarbel. Un film con Beth Stebner, Keegan Hamilton (II), Jaime Rojo, Steven P. Harrington, Rebecca Encalada. Titolo originale: Banksy Does New York. Genere Documentario, – USA, 2014, durata 79 minuti.