La rassegna L’Ospite a Palazzo presenta, fino all’8 settembre 2025, una rara tela religiosa del pittore anversano, eseguita al termine del suo soggiorno italiano
VENEZIA – Con l’arrivo del Cristo crocifisso di Antoon van Dyck, la casa-museo di Palazzo Cini inaugura l’edizione 2025 de L’Ospite a Palazzo presentando un’opera che restituisce, con rigore compositivo, il momento in cui la pittura del maestro anversano raggiunge una piena autonomia stilistica. Realizzata nel 1627, al termine del soggiorno italiano, la tela – in prestito dal Museo di Palazzo Reale di Genova – si impone per la sua costruzione visiva, dove ogni elemento sembra concorrere a una sintesi misurata tra forma, luce e materia.
Il corpo di Cristo emerge dallo sfondo scuro con un’intensità composta. Lo sguardo rivolto verso l’alto e la torsione del busto definiscono una figura raccolta, mentre il grande drappo bianco che avvolge la vita agisce come perno visivo dell’intera scena. Il panneggio accentua la verticalità, spezza la simmetria e introduce una vibrazione luminosa che guida l’occhio, modulando i toni e ritmando la superficie pittorica. Il cielo, percorso da nubi violacee e squarci di luce livida, amplifica la tensione interna del dipinto, proiettando la scena su un piano più atmosferico che narrativo.
Van Dyck in Italia: equilibrio e affermazione di stile
La tela appartiene a una fase cruciale per Van Dyck, in cui si consolidano i modelli assimilati tra Genova, Roma, Palermo e Venezia. Il confronto con Rubens resta evidente nella costruzione solida e nella monumentalità della figura, ma la pittura italiana – in particolare quella veneta – introduce una nuova attenzione al tono, alla modulazione cromatica, alla resa atmosferica. Il Cristo crocifisso rivela una grammatica luminosa ormai del tutto personale: la luce non descrive, ma definisce; il colore non accompagna, ma struttura.
Come spiega Luca Massimo Barbero, direttore dell’Istituto di Storia dell’Arte della Fondazione Giorgio Cini, si tratta di «un capolavoro di straordinaria intensità lirica, giocato su accostamenti cromatici di grande suggestione. È una vivida testimonianza dell’arte del maestro fiammingo, memore della lezione rubensiana, cui si affianca l’uso sapiente e raffinato del colore e del contrasto luministico».
Attribuita con sicurezza sin dal primo inventario genovese del 1836, l’opera è oggi considerata l’unico Crocifisso autografo superstite tra quelli realizzati da Van Dyck in Italia. Una tela che restituisce la consapevolezza di un artista in pieno controllo dei propri mezzi, in grado di trasformare un soggetto canonico in un campo di sperimentazione pittorica.


Un innesto volutamente dissonante
L’inserimento del dipinto nel percorso espositivo di Palazzo Cini punta consapevolmente su un attrito visivo. Accostato alle Croci dei maestri primitivi custodite nella sezione dei fondi oro, il Cristo crocifisso si impone come corpo estraneo, ma non per questo fuori luogo: l’alterità temporale e formale diventa occasione di rilettura per entrambe le componenti. Da una parte, l’essenzialità geratica dei primitivi toscani; dall’altra, la fisicità articolata, dinamica, attraversata dalla luce, propria della pittura barocca fiamminga.
Il contrasto rilancia la forza iconica dell’opera, che non viene assorbita dal contesto, ma lasciata in sospensione, in un dialogo obliquo con linguaggi figurativi che pongono domande radicalmente diverse sulla rappresentazione del sacro.
Le vicende collezionistiche
Le vicende collezionistiche del dipinto, come spesso accade con opere di questo tipo, si fanno documentate solo a partire dall’Ottocento. L’opera fu acquistata nel 1821 da Carlo Felice di Savoia, insieme alla raccolta di Andrea Carlo Gabaldoni, e la prima registrazione ufficiale risale al 1836, già con l’attribuzione a Van Dyck. La critica non ha mai messo in discussione l’autografia, anzi, tende oggi a riconoscere in questa tela un unicum nel corpus del pittore, tanto per l’impianto iconografico quanto per la qualità pittorica.
Le Conversazioni d’arte e il contesto museale
Ad accompagnare l’opera, la Fondazione Giorgio Cini propone un ciclo di incontri che, senza cedere al tono divulgativo, mira a costruire un confronto tra studiosi e pubblico. Il 14 maggio è stata inaugurata la nuova stagione delle Conversazioni d’arte con l’intervento di Mari Pietrogiovanna, docente di storia dell’arte fiamminga e olandese all’Università di Padova, con una riflessione proprio sul Cristo crocifisso. Il ciclo proseguirà il 28 maggio con un approfondimento sul Rinascimento ferrarese a cura di Valentina Lapierre e Roberto Cara, per poi concludersi il 5 giugno con un incontro sui capolavori del Rinascimento toscano, guidato da Loredana Luisa Pavanello.
Questi appuntamenti si innestano nella lunga strategia museale di Palazzo Cini, che dal 2014 ha riattivato il proprio ruolo come casa-museo d’autore, aperta a collaborazioni con istituzioni italiane e internazionali. L’Ospite a Palazzo, negli anni, ha già portato a Venezia opere di Lotto, Beato Angelico, Mantegna, Uccello, Bellotto, Gentileschi: ogni volta, non come semplice “ospite”, ma come occasione per interrogare la tenuta di un modello espositivo fondato sulla mobilità, sul dialogo intermittente e sulla differenza.
Vademecum
Palazzo Cini
Dorsoduro 864, Venezia | www.palazzocini.it
Aperto tutti i giorni (tranne il martedì), ore 11 – 19
visite.palazzocini@cini.it | T +39 041 2411281
Ticket online
La partecipazione a ‘Conversazioni d’arte’ è gratuita e aperta a tutti, previa
prenotazione: palazzocini@cini.it.
Fondazione Giorgio Cini onlus