PISA – “Ad oggi conosciamo solo una storia, quella dei faraoni e dell’élite, che ci hanno lasciato iscrizioni, testimonianze di grandi gesta, templi e tombe monumentali, tesori archeologici, tutti frammenti dei loro ’ricordi’. Non sappiamo quasi nulla della gente comune che non ha potuto lasciare tracce così evidenti nella storia – racconta Gianluca Miniaci, del dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere dell’Università di Pisa, uno dei due ricercatori under 40 in tutta Italia che è riuscito ad ottenere i fondi ministeriali per un progetto nella categoria “giovani” per il settore “Studio del passato umano: archeologia, storia e memoria’’.
“Ora – continua il ricercatore – si tratta di scriverne una nuova, una che abbia come protagonista quella massa di popolazione invisibile fatta soprattutto di lavoratori, commercianti, agricoltori, ma anche persone benestanti e socialmente agiate, che non ricoprivano un ruolo politico rilevante”.
Il progetto in questione è “Pharaonic Rescission” che si è aggiudicato 200mila euro dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca. L’idea è dunque quella di raccontare la storia sociale dell’Antico Egitto nel secondo millennio a.C. partendo “dal basso”, dalle persone comuni che lavoravano e producevano oggetti. Attraverso analisi archeometriche e dati forniti dall’archeologia, sarà possibile estrarre una massa di informazioni relativa ai contesti spazio-temporali in cui gli oggetti si sono mossi nell’antichità, dalla loro creazione (banalmente l’estrazione delle materie prime) alla loro lavorazione, circolazione ed uso. I reperti delle collezioni egittologiche dei più importanti musei italiani, europei ed internazionali saranno quindi fondamentali per delineare l’identikit proprio delle persone che avevano prodotto la cultura materiale dell’antico Egitto.
Spiega ancora Miniaci: “Per capire la novità del nostro approccio prendiamo ad esempio due oggetti, un vaso per unguenti proveniente dalla necropoli di Badari in Egitto su cui è iscritto il nome del faraone Pepi II (ca. 2250 a.C.) e uno scarabeo con il nome del faraone Sobekemsaf (circa 1650 a.C.), oggi conservato al British Museum”.
Attraverso una serie di analisi avanzate, come la spettrometria XRF, si scopre ad esempio che il vaso è fatto di calcite, mentre lo scarabeo di pietra di diaspro verde. Da qui è possibile risalire agli spostamenti fatti per andare a recuperare i materiali e capire anche quali strumenti e tecniche siano state utilizzate da coloro che li hanno fabbricati. “In genere, la storia tradizionale tenderebbe a considerare il vaso e lo scarabeo in relazione al nome del sovrano e basta. Il nostro obiettivo è invece di andare a scoprire le molteplici storie nascoste, e poi dimenticate, che gli oggetti possono incapsulare” – conclude Miniaci.