ROMA – Un Teatro Olimpico pieno accoglie la lectio magistralis di Vittorio Sgarbi, che nell’anniversario della morte di Pierpaolo Pasolini ne parla con un originale accostamento al pittore vissuto circa quattro secoli prima, Michelangelo Merisi, più conosciuto con lo pseudonimo di Caravaggio. Inutile sottolineare come la fortuna di “Pasolini Caravaggio” – tanto quanto le altre performance del critico d’arte e sottosegretario alla cultura – nasca dalla passione di Sgarbi per il suo lavoro, dalla conoscenza dei fatti, dall’assenza di retorica, da una spiccata dose di ironia e leggerezza, dalla capacità di riconoscere senza soggezione quelle pulsioni umane che rendono i grandi più vicini a noi.
Lo spettacolo si apre con immagini della morte di Pasolini, accompagnate dalla voce di Alberto Moravia che lo commemora come diverso e simile a ciascuno. Vittorio Sgarbi, oltre a sottolineare l’evolversi del concetto di “normalità” nella nostra cultura e unicità di ogni uomo, sottolinea come di Moravia (a mio giudizio narratore grandissimo) sembra si stia perdendo il ricordo. Cosa che accadde anche a Michelangelo Merisi, racconta Sgarbi, la cui riscoperta attribuisce al critico Roberto Longhi datando la rinascita del pittore al 21 aprile 1951 quando, a Palazzo Reale a Milano, Longhi inaugurò la mostra del Caravaggio e dei caravaggeschi.
Pasolini e Caravaggio sono definiti “eretici” da Sgarbi e, come Longhi aveva detto di Caravaggio, autori della realtà. Nella sua ciceroniana e affascinante orazione il critico ci trascina alla conoscenza realistica della due vite parallele con la forza della voce, immerso nella pertinente, minimale, scenografia di Tommaso Arosio le cui ombre e luci esaltano immagini di quadri e fotografie. Negli intervalli si ascoltano musiche composte ad hoc ed eseguite dal vivo con violino, viola, oud, elettronica, da Valentino Corvino. I due artisti ci appaiono ribelli, ammirati e criticati allo stesso tempo. Identiche esistenze sregolate, ricche di eccessi, di contrasti, pericolosamente attratte dall’ignoto e da un bisogno di libertà che difesero fino alla morte.
Si sa che a Caravaggio fu attribuita una omosessualità presunta che Sgarbi esplicitamente non cita. In maniera più scientifica ci fa ammirare invece la stessa preferenza verso un certo tipo di soggetti maschili: ad esempio accosta il volto del fanciullo con frutta ritratto da Caravaggio, a quello di uno degli attori preferiti da Pasolini, Ninetto Davoli che, se non identico nei lineamenti, è lo stesso tipo fisico: moro, ricciolino, aitante, oggi diremmo “un ragazzo di vita”.
Nel dipinto del Caravaggio il “Riposo nella fuga in Egitto”, Sgarbi ci fa notare come anche di fronte a quadri della tradizione cristiana l’artista non rinnegò la pittura della realtà: San Giuseppe infatti non è idealizzato e, mentre Maria dorme, mostra il pentagramma al bellissimo efebo con sguardo fortemente attratto.
Sui fatti certi relativi alla scomparsa di entrambi, restano misteri non risolti. Vittorio Sgarbi ci accompagna al drammatico momento indagando con lo sguardo dell’arte. Un’opera sintetizza la lectio magistralis: la morte di Pasolini nel caravaggesco quadro del contemporaneo Nicola Verlato. Personalmente Sgarbi non crede alla leggenda del complotto che avrebbe portato Pasolini alla fine, piuttosto la ritiene conseguenza legata agli sviluppi della sua natura: Pasolini e Caravaggio per vivere fino all’ultimo respiro pagano un pegno che oggi ci rende tutti più liberi.
ROMA – Teatro Olimpico
“Pasolini Caravaggio” di e con Vittorio Sgarbi
Musiche composte, ed eseguite dal vivo, da Valentino Corvino violino, viola, oud, elettronica
Video scenografia Tommaso Arosio
Progetto artistico DoppioSenso