ROMA – In una lunga chiacchierata, tra aneddoti, ricordi, curiosità, abbiamo ripercorso con Alberto Biasi (Padova, 1937) le tappe salienti di una carriera che si è svolta nel segno della sperimentazione, di una visione avveniristica del mondo e di una ricerca in costante equilibrio tra immaginazione e razionalità, arte e scienza.
Considerato uno dei più importanti esponenti internazionali dell’arte ottico-cinetica e programmata, Biasi è stato a tutti gli effetti un anticipatore, un inventore, ma soprattutto un visionario che ha saputo sconfinare in territori, al tempo, ancora inesplorati, realizzando opere che oggi risultano ancora attuali, a distanza di oltre cinquant’anni dalla loro creazione. Non stupisce affatto il rinnovato interesse nei confronti della sua ricerca e l’apprezzamento da parte delle nuove generazioni, incuriosite dalle sue “invenzioni”.
Attualmente è una mostra antologica a cura di Giovanni Granzotto, dal titolo Tuffo nell’arcobaleno, ospitata fino al 20 febbraio 2022 al Museo dell’Ara Pacis di Roma, a dare conto del percorso artistico di Biasi, attraverso 60 opere e quattro ambienti che comportano un intervento attivo del pubblico.
La sua avventura artistica ha inizio con il Gruppo N nel 1959…
Devo fare subito una precisazione: tutto nasce a dire il vero con il Gruppo EnneA nel 1959. Eravamo nove studenti di Architettura. EnneA deriva dal greco “εννεα”, che significa appunto “nove”, ma “n” è in matematica un numero aperto, indefinito. Il gruppo si caratterizza quindi come gruppo aperto, mentre “a” sta per “architetti”. Tutti padovani prendevamo il treno insieme la mattina per andare alla Facoltà di Architettura di Venezia. Il gruppo si sciolse però nel giro di tre/quattro mesi per divergenze di tipo ideologico. Alla fine del dicembre del 1960, inizi del 1961, ricostituisco, in stretta collaborazione con Manfredo Massironi, che conoscevo tramite la sorella con la quale ero fidanzato, il Gruppo chiamandolo questa volta “ENNE” , a cui si uniscono Ennio Chiggio, Toni Costa, Edoardo Landi. La confusione sulla data di nascita del Gruppo N è dovuta a una “lotta acerrima” con il Gruppo T di Milano. In pratica ognuno voleva affermare la primogenitura del proprio Gruppo. Il Gruppo T sosteneva di essersi formato nel 1960 (ed era anche vero), ma non esistevano documenti che lo testimoniassero, il Gruppo N sfruttò invece la data nascita del Gruppo EnneA nel 1959 per affermare questa sorta di “primato”, confermato anche da un’ampia documentazione giornalistica. Da qui dunque il malinteso sulla data effettiva di nascita.
Con il Gruppo N ha prende avvio la sperimentazione dell’Arte cinetica?
Questa sperimentazione inizia con la mia ricerca sulle Trame, che si sviluppa tra il 1959 e il 1960. Le prime “manifestazioni cinetiche” sono quelle derivanti dalla stratificazione e rotazione di carte forate che avevo adottato come materiale a uso artistico, in quanto riuscivano a creare dei sorprendenti effetti luminosi a seconda dell’inclinazione dei fori. Avevo recuperato queste carte di paglia dal Consorzio Agrario, poiché in quel periodo per guadagnare qualche soldo facevo l’istruttore per gli allevatori di bachi da seta.
Dai bachi da seta all’arte. Com’è avvenuto il passaggio?
Mio padre, Dottore in Agraria, oltre che di vitigni era esperto di allevamenti di bachi da seta. Non voleva che facessi l’artista e mi fece iscrivere al Liceo Classico. Per una serie di vicissitudini fui bocciato alla maturità e quella fu la mia fortuna, riuscii infatti a iscrivermi l’anno successivo all’esame per la maturità artistica, che invece superai brillantemente. A quel punto iniziai la Facoltà di Architettura. La svolta avvenne però grazie a un premio assegnatomi da Virgilio Guidi per le opere che avevo presentato alla IV Biennale Giovanile di Cittadella. Questo premio fu decisivo. Lasciai l’Università e cominciai a dedicarmi totalmente all’attività artistica. Inizia a sperimentare le prime opere cinetiche. Va specificato, tuttavia, che il cinetismo nelle mie opere era frutto di un fenomeno “gestaltico”, puramente percettivo e visivo. Le opere erano in realtà totalmente statiche e il movimento era quindi un “inganno dello sguardo”, derivato dagli spostamenti dell’osservatore.
Arte Cinetica o Arte Gestaltica dunque?
A suo tempo fu Giulio Carlo Argan a parlare di Arte Gestaltica. Poi tutti iniziarono a parlare di Optical Art, dopo il 1964. La definizione di Op Art fu creata in opposizione alla Pop Art. Dal mio punto di vista questa definizione spiega solo in parte quello che in realtà è la mia arte. Per questo preferisco arte ottico-cinetica. Anzi, ho sempre considerato le mie opere, sin dall’inizio, ottico-dinamiche.
Nel 1964 il Gruppo N partecipa anche alla Biennale di Venezia, come ricorda quell’esperienza?
Quella della Biennale è una storia non troppo felice, preceduta da un episodio che riguarda la Biennale Internazionale di San Marino del 1963. Come Gruppo N avevamo partecipato alla manifestazione, insieme ad altri Gruppi, i tedeschi del Gruppo Zero, i romani del Gruppo Uno, il Gruppo T di Milano. Noi avevamo vinto il premio ex equo con il Gruppo Zero, assegnato da una giuria internazionale costituita da personalità come Giulio Carlo Argan, Palma Bucarelli, Umbro Apollinio.
A seguito di quel riconoscimento alcuni artisti come Perilli, D’Orazio, Accardi, Vedova si scagliarono aspramente contro Argan, sostenendo che i Gruppi erano stati creati dallo stesso critico per contrastare le loro concezioni artistiche. In realtà sappiamo bene che questi Gruppi erano nati anni prima. Si trattava di una polemica senza basi realistiche.
Nel 1964 partecipammo alla Biennale di Venezia e qui accadde un fatto piuttosto spiacevole. Alla Biennale erano presenti anche esponenti del Realismo Socialista. Gli Stati Uniti erano rappresentati dai pop-artisti portati a Venezia dal collezionista e gallerista Leo Castelli. Arrivarono con navi della sesta flotta americana e un cacciatorpedinieri attraccò proprio davanti alla Fondazione Cini. Ma non è tutto. Castelli organizzò una grande festa al Consolato americano, dove aveva allestito una mostra di Rauschenberg. Invitò tutti i critici della giuria che alla fine concordarono nell’assegnare il premio per la pittura a Rauschemberg. Alcuni contestarono questa decisione perché Rauschemberg non era esposto nei padiglioni dei giardini della Biennale. Nottetempo le sue opere furono spostate in uno dei padiglioni, sostituendole a quelle già esposte. Rauschemberg ricevette così il primo premio. Noi Gruppo N eravamo convinti di vincere il premio per la pittura italiana. Quell’anno invece la giuria decise, per la prima volta nella storia della Biennale, di conferire il premio solo agli scultori e a nessuno dei pittori italiani. Di questo scandalo se ne parlò molto. Secondo l’opinione pubblica francese Leo Castelli apparteneva alla CIA e quella vittoria americana non voleva tanto ostacolare gli artisti italiani, piuttosto contrastare il Realismo Socialista. Insomma, la mostra di Castelli serviva a stabilire la supremazia statunitense su quella russa.
Per quale motivo si sciolse il Gruppo N?
Si sciolse in parte proprio per la vicenda della mancata vittoria alla Biennale del 64. Da allora la Pop art cominciò ad avere uno straordinario successo e noi italiani fummo completamente messi da parte. Non avevamo più lavoro. Ognuno di noi tornò alle proprie ricerche o iniziò altre attività. Io cominciai a insegnare per sopravvivere. Anche se non ho mai mollato la mia ricerca artistica. Fortunatamente negli anni 2000, in particolare verso il 2009, c’è stata una riscoperta dell’arte cinetica e dell’arte programmata, oltre a un rinnovato interesse nei confronti della mia arte.
Come origina invece l’Arte programmata?
L’origine è legata a Bruno Munari ed Enzo Mari. Entrambi avevano conoscenze in Olivetti, che allora stava interrompendo la produzione di macchine da scrivere per dedicarsi all’elettronica, ai calcolatori. L’arte programmata nasce, come scrisse Umberto Eco, perché l’arte del futuro sarebbe stata strettamente connessa all’elettronica e ai programmi. Da qui anche il nome. Sul catalogo della prima mostra in realtà viene definita Arte Programmata, ma anche Arte moltiplicata e Opera aperta. Noi del Gruppo N eravamo più favorevoli alla definizione di Opera Aperta. Fu sempre Eco a parlare di “Opere aperte” , durante una conferenza alla Fondazione Cini di Venezia a cui partecipammo. Noi del Gruppo N consideravamo le nostre opere “aperte” a una infinità di variabili.
In che senso?
Alcune nostre opere erano manipolabili. Si poteva intervenire su di esse spostando alcuni elementi, presupponendo quindi una partecipazione attiva dello spettatore. Si creavano una grande varietà di configurazioni e quindi l’opera diveniva variabile. Un po’ come un programma di scrittura: si possono disporre le parole in un’infinità di modi e ottenere risultati sempre diversi dal punto di vista espressivo.
Si incontrano difficoltà nell’allestimento di queste opere?
Il problema più grande che si riscontra, pressoché sempre, nell’allestimento di queste opere è nell’illuminazione. Quasi tutti gli spazi espositivi, tranne le gallerie o i musei di ultima generazione, sono dotati di sistemi di illuminazione più adatti alle opere del secolo scorso, fondamentalmente opere pittoriche, in cui la profondità è di tipo prospettico o coloristico, per cui una lampadina puntiforme è più che sufficiente per poterle ammirare. Per le mie opere, che sono invece costruite su vari piani, questa modalità di illuminazione non consente di vedere l’effetto reale. Si vengono a formare delle ombre tra i diversi piani. L’ideale sarebbero quindi lampade in grado di creare una luce diffusa, omogenea e di una intensità tale da illuminare tutti i colori.
La mostra all’Ara Pacis sembra essere molto apprezzata anche dai giovani…
I giovani hanno una capacità maggiore di percepire queste opere. Se metto un bambino davanti a una delle mie opere la prima cosa che fa è muoversi, spostarsi da sinistra a destra, guardare quindi con un approccio dinamico. Solo muovendosi si coglie l’essenza di queste opere. Il pubblico abituato alla pittura classica riesce con più difficoltà a percepire la profondità dell’opera cinetica.
Nella mostra, oltre alle 60 opere esposte, colpiscono particolarmente i quattro ambienti che tendono a coinvolgere maggiormente il pubblico…
Sicuramente. “Light Prisms” è un ambiente il cui primo prototipo risale agli anni Sessanta e fu realizzato per la mostra di Arte Programmata. Grazie alla programmazione della velocità di motori, i fasci di luce bianca si intersecano e si rifrangono in un prisma di cristallo ricreando su lastre di perspex i colori dell’arcobaleno. Da qui il titolo “Tuffo nell’arcobaleno”, che è anche quello della mostra. Un altro ambiente è “Eco”: in una stanza un flash potentissimo, attivato da una pedana, “spara” un’illuminazione che fa riflettere sulle pareti l’impronta di chi vi è passato davanti. L’ombra rimane poi impressa sulla parete. Per questo motivo l’opera è intitolata anche Hiroshima. C’è poi “Proiezione di luce e di ombre”: in questo caso l’opera è costituita da una struttura ( un cilindro interno e un cubo esterno) di lamiere forate, che ricordano le Trame, con una lampadina centrale che proietta delicatamente, attraverso i fori, delle luci e ombre, suggerendo una sensazione di instabilità. L’ultimo ambiente è “Tu sei “, consistente in “ombre colorate” lasciate dal pubblico sulle pareti. Un lavoro che si basa sulla teoria dei colori complementari di Johannes Itten. In pratica se in una stanza buia un oggetto viene illuminato con un fascio di luce rossa, la sua ombra risulterà verde, viceversa se illuminato con un fascio verde l’ombra sarà rossa. Questo significa che l’occhio umano in assenza di luce solare tende a costruire il colore complementare a quello della luce colorata prevalente nell’ambiente.
Questa opera era stata concepita come un Trittico, dal titolo “Io sono, tu sei (egli è)” ed era nata in opposizione alla teoria filosofica di Cartesio espressa nell’affermazione “Cogito Ergo Sum”. Io volevo invece dimostrare che anche altre azioni possono essere manifestazioni dell’esistere, ovvero dell’essere, tanto quanto il pensare. Io faccio, agisco mi muovo e dunque “io sono”. L’opera “Egli é”, ad esempio, consiste in un telo bianco sul quale scrivere, lasciare tracce del proprio passaggio, nell’attuale mostra però non è esposto per ragioni legate al Covid). Io sono, tu sei, egli è: la conclusione è che “noi siamo”.
La mostra di Alberto Biasi resterà aperta fino al 20 febbraio 2022. Il 21 gennaio 2022 è prevista, inoltre, la presentazione di un libro dedicato all’attività didattica del Gruppo N. Saranno presenti, oltre all’artista, Guido Bartorelli, professore di Storia dell’Arte all’Università di Padova, e la dottoranda Marta Previti, curatrice dell’Archivio di Biasi.
Vademecum
Museo dell’Ara Pacis
Fino al 20 febbraio 2022
Tutti i giorni 9.30-19.30
Ultimo ingresso un’ora prima della chiusura
Giorni di chiusura
25 dicembre e 1 gennaio
Biglietto d’ingresso
Informazioni
060608 (tutti i giorni 09.00 – 19.00)
Promotore
Roma Culture – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali
Produzione
Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e da IL CIGNO GG Edizioni con la collaborazione dell’Archivio Biasi
Organizzazione
IL CIGNO GG Edizioni con il supporto di Zètema Progetto Cultura