Un archivio silenzioso, costruito con la lentezza del banco ottico e l’esattezza dello sguardo: quello di Alberto Lagomaggiore non è un racconto dell’architettura, ma un’indagine sul modo in cui essa si inscrive nel tempo, si consuma, resiste o si trasforma.
Dal 17 maggio all’8 giugno 2025, Villa Ghirlanda a Cinisello Balsamo ospita la mostra personale “Fotografie di architettura 1994–2024”, a cura di Maria Fratelli e Giorgio Olivero: cento immagini in cui trent’anni di città si rivelano non attraverso l’enfasi della monumentalità, ma nei dettagli trascurati, nei vuoti, nelle soglie, nei margini.

Una pratica fotografica come strumento di lettura urbana
Lagomaggiore, genovese, classe 1964, allievo di Gabriele Basilico, ha costruito in tre decenni una delle riflessioni più coerenti e profonde sulla fotografia d’architettura in Italia. Formatosi in ambito urbanistico, ha saputo piegare il rigore documentario a una visione d’autore, dove la fotografia si fa dispositivo analitico e strumento critico. La mostra segue un andamento cronologico che consente di cogliere l’evoluzione del suo linguaggio: dalla nitidezza del bianco e nero analogico fino a forme più rarefatte e sperimentali, senza mai smarrire l’aderenza alla complessità del reale.
Il racconto si apre con Valpolcevera 94, una delle prime campagne condotte nella valle post-industriale genovese, dove si manifesta l’interesse per i paesaggi marginali e per l’architettura produttiva. Seguono le indagini sulle archeologie industriali di Milano, da cui sono nati i volumi Il sogno del moderno (1994) e La fortuna del moderno (1997), e le grandi commesse pubbliche come la documentazione del porto di Genova per l’Autorità Portuale.
Tra documentazione e astrazione visiva
Oltre alla riflessione urbana, la mostra rivela anche una componente più sperimentale, visibile nei lavori per marchi del design come Cappellini, Driade e Castaldi Lighting. Non si tratta di semplici still-life, ma di trasfigurazioni dell’oggetto che sfumano verso l’astratto, spingendo il linguaggio fotografico oltre i limiti della rappresentazione funzionale.
Di particolare rilievo è anche la sezione dedicata al restauro del 2004 di Villa Reale a Milano (Villa Belgiojoso Bonaparte), con immagini perlopiù inedite che ritraggono il cantiere come luogo di transizione, in cui l’architettura si espone nella sua nudità, tra impalcature e memoria.
Edilizia minore e città in trasformazione
La mostra include inoltre alcuni dei cicli più intimi e riflessivi di Lagomaggiore, come il censimento fotografico delle Cascine di Milano (2013), realizzato con banco ottico 10×12 e digitalizzazione delle pellicole in grande formato, e la serie dedicata ai Cantieri di Milano. Qui si manifesta una tensione costante verso quei frammenti urbani che sfuggono alle narrazioni ufficiali, ma che costituiscono la vera ossatura delle trasformazioni contemporanee.
Soglie urbane e spazi liminali
A concludere il percorso espositivo sono i lavori più recenti: Cuneo. Zone di confine (2021) e Milano Over (2022), entrambi nati da progetti realizzati nel 2020. Se il primo si concentra su un territorio di frontiera, sospeso tra natura e costruito, il secondo restituisce un’immagine della Milano svuotata dal lockdown, immersa in un tempo irreale, quasi metafisico.
Lo sguardo di Alberto Lagomaggiore riconosce in ogni immagine una forma di resistenza all’oblio, un gesto per trattenere ciò che è destinato a scomparire. In questo senso, la mostra a Villa Ghirlanda non si propone come semplice retrospettiva, ma come esercizio di responsabilità visiva: un modo di osservare che analizza, archivia e interroga la materia del reale senza arrestarsi alla sua superficie.