NAPOLI – La “Testa di cavallo Carafa”, bronzo di Donatello, il 19 novembre ha ritrovato posto all’interno del MANN, Museo Archeologico di Napoli. Il bronzo, delle dimensioni di un metro e 75 centimetri, tra i simboli di Napoli, opera ammirata anche da Goethe nel quattrocentesco palazzo nobiliare di via San Biagio dei librai, era la testa di un monumento equestre che Donatello aveva iniziato nel 1456 per Alfonso V d’Aragona e destinato al portale d’ingresso di Castel nuovo, di fatto mai terminato per diverse ragioni, no ultima la morte del sovrano.
Un’opera incompiuta dunque, che ora il direttore Paolo Giulierini, alla guida del Museo archeologico da un anno, ha invece deciso di valorizzare nel percorso museale. La testa fu inviata da Lorenzo il Magnifico al Re Ferrante I che la donò al suo cortigiano Diomede Carafa nel 1471 e fu posta nel cortile di quello che per secoli si chiamò, appunto, ‘il palazzo del cavallo di bronzo’.
L’opera venne donata al Museo Archeologico dall’ultimo principe di Colubrano Carafa, nel 1809. Da allora la testa, considerata in un primo momento un reperto archeologico da Vasari, che invece poi la riconobbe di Donatello, e da Winckelmann, al Mann non è praticamente mai stata visibile al pubblico.
Il suo ritorno alla visibilità oggi assume dunque un significato di rilievo, collegando anche la città partenopea a Firenze e ai suoi capolavori. Spiega Giulierini: “Il Mann, che accolse il bronzo nell’Ottocento diventando l’ultima dimora di questa straordinaria opera, guadagna tre secoli di riflessione sul mondo classico. Non celebra cioè solo l’apporto dei Borbone alla rinascita dell’archeologia occidentale ma irradia i valori dell’Umanesimo e del Rinascimento che rappresentano forse la più grande rivoluzione culturale della storia”. ”Il Rinascimento – ricorda ancora Giulierini – era un mondo ancora fatto di manoscritti da poco riscoperti, di studi filologici, di qualche, raro, rinvenimento archeologico e di contemplazione di monumenti che emergevano ancora, quasi magicamente, nelle città che tornavano a nuova vita. Alle corti di Firenze, Milano, Roma, Mantova, Ferrara rispondono le Accademie, veri cenacoli di studiosi, come quella di Napoli: una Napoli aperta e osmotica, che sarà capace di importare anche la cultura fiamminga”.