FIRENZE – Firenze si confronta con un linguaggio radicale, ruvido e profondamente personale: fino al 20 luglio 2025, Palazzo Strozzi ospita Tracey Emin. Sex and Solitude, la più ampia mostra mai dedicata in Italia all’artista britannica, figura tra le più controverse dell’arte contemporanea.
Sessanta opere, molte delle quali mai esposte prima nel nostro Paese, occupano le sale del Piano Nobile e gli spazi pubblici del cortile e della facciata, trasformando l’austera architettura rinascimentale in una sorta di diario visivo in cui desiderio, dolore e vulnerabilità si condensano in materia. Il titolo, Sex and Solitude, non è una provocazione né una sintesi: è il cuore stesso della pratica artistica di Emin, dove l’urgenza di raccontare il corpo si intreccia all’esperienza della perdita, della malattia, dell’abbandono.

Un’opera che comincia dalla pelle
Nei suoi dipinti, sculture, video e installazioni, Emin non cerca mai di descrivere, ma di evocare. La pittura è spesso l’arena primaria di questo processo, come in There was blood (2022) o Not Fuckable (2024), dove la figura umana si dissolve tra colature e sovrapposizioni, lasciando sulla tela i residui di un gesto pittorico che è quasi un combattimento. I titoli, scritti a mano, espliciti, non lasciano scampo: sono parte integrante dell’opera, confessioni esposte senza pudore né compiacimento.
Non c’è narrativa lineare, non c’è estetica della bellezza, ma una tensione continua tra corpo e parola, tra presenza e scomparsa. All I want is you (2016), scultura in bronzo dalla postura spezzata e carnale, sembra materializzare una richiesta affettiva che ha il peso fisico di una mancanza.
Il corpo come spazio di resistenza
Una delle opere cardine dell’esposizione è Exorcism of the last painting I ever made (1996), installazione ricostruita negli spazi di Palazzo Strozzi. In quell’opera, Emin si mostrò nuda per tre settimane in uno studio temporaneo, dipingendo e disegnando di fronte al pubblico. Non si trattava di esibizionismo, ma di un gesto di riappropriazione radicale: il corpo femminile non più oggetto da osservare, ma soggetto che agisce, crea, si espone e si racconta.
In questo senso, la mostra non propone una retrospettiva cronologica, ma un itinerario emotivo, un’oscillazione continua tra fragilità e rabbia, solitudine e desiderio di fusione. L’opera posta nel cortile, I Followed You To The End (2024), scultura monumentale in bronzo, ne è un emblema: una figura femminile nuda e vulnerabile, ma al tempo stesso imponente, che domina lo spazio con una forza inquieta.

Neon, ricami, ferite
Accanto alle tele e alle sculture, la scrittura di Emin si fa luce e si fa tessuto. Frasi brevi, personali, spesso dolorose, appaiono in neon colorati che pulsano come ferite aperte, oppure in ricami e coperte cucite a mano. C’è una qualità quasi religiosa nella ripetizione del gesto: il cucire, lo scrivere, il sovrapporre materia su materia. I do not expect (2002) e Those who Suffer LOVE (2009) sono opere che, pur nella loro semplicità formale, trattengono un’intensità emotiva quasi insostenibile.
Un dialogo tra l’urgenza e la memoria
Tracey Emin non cerca di rappresentare la realtà, ma di attraversarla. Le sue opere non illustrano un racconto, lo incarnano. Eppure, dietro ogni gesto, si intravede una genealogia precisa: Munch, Schiele, il corpo come paesaggio esistenziale, ma anche la lunga tradizione della pittura europea con cui Emin sembra voler misurare la propria voce. A Palazzo Strozzi, questo dialogo si fa concreto, e la tensione tra l’eredità rinascimentale del luogo e l’urgenza contemporanea del suo lavoro si trasforma in spazio critico.

La mostra, curata da Arturo Galansino, non cerca di addomesticare il linguaggio di Emin, ma lo lascia risuonare per quello che è: brutale, carnale, tenero, contraddittorio. Un’esperienza che chiede di essere attraversata senza filtri, disarmati.
Info e prenotazioni T. +39 055 2645155 – prenotazioni@palazzostrozzi.org www.palazzostrozzi.org