MILANO – L’esposizione Stella di Jan Fabre, a cura di Melania Rossi, inaugurata lo scorso 19 settembre alla Galleria Gaburro di Milano, si inserisce nell’ambito del festival Amore e bellezza sono i poteri supremi, dedicato al lavoro teatrale di Fabre. Il progetto è un’esperienza totalizzante e straniante, restituita attraverso differenti linguaggi espressivi, che vede al centro della scena la figura della performer Stella Höttler.
La mostra incarna il senso stesso della ricerca di Fabre rivolta verso una spiritualità profonda e ancestrale, in un continuo rimando tra passato e presente, tra sacro e profano, tra mito e contemporaneità, tra eros e thanatos. La cifra stilistica potente ed evocativa dell’artista belga funziona come dispositivo visivo per stimolare in modo suggestivo, enigmaticamente e ironicamente provocatorio, l’immaginario dello spettatore che viene invitato a riflettere sulla propria condizione esistenziale, sulla figura della donna, sul rapporto con il mondo animale e naturale. Ne abbiamo parlato con la curatrice Melania Rossi.

Qual è stata l’idea di fondo che ha guidato la curatela del progetto “Stella” alla Galleria Gaburro di Milano?
Per questa mostra, l’idea di fondo era creare una drammaturgia inedita che unisse i diversi linguaggi che Jan Fabre attraversa nel suo universo artistico: performance, disegno, scultura, video installazione e fotografia, intorno alla figura di Stella Höttler, attrice protagonista di molte creazioni teatrali del maestro belga.
L’occasione era quella del festival “Amore e Bellezza sono poteri supremi” (fino al 13 ottobre presso il teatro OutOff di Milano), dove è andato in scena “I’m sorry”, monologo in anteprima mondiale diretto da Fabre e scritto insieme all’attrice (lo spettacolo andrà nuovamente in scena il 10-11 dicembre alla Sala Assoli di Napoli per il Campania Teatro Festival).
Inoltre, era importante la presentazione del volume in edizione speciale “Smoking Stella” edito da Parallelo42contemporary art, dove una serie di intime fotografie scattate in analogico da Jan Fabre ritraggono Stella Höttler in una versione da “backstage” con indosso ancora i vestiti della performance, ma in pose audaci da giovane donna consapevole del proprio corpo. Questa edizione speciale è, di fatto, un multiplo d’artista che contiene delle foto stampate su alluminio e un volume dalla particolare veste dorata che raccoglie vari saggi di Giacinto di Pietrantonio e un mio testo introduttivo.
Visivamente e concettualmente, tutte queste diverse “anime” del progetto, la mostra, il teatro, e il libro, raccontano una storia unica, tra sacro e profano, tra arte e vita. Visitando la mostra alla galleria Gaburro e andando a vedere gli spettacoli al teatro Outoff si può fare un’esperienza a 360° nell’universo artistico del visionario artista belga.


Come hai scelto le opere esposte e in che modo si relazionano tra loro per creare un percorso narrativo coerente?
Le opere hanno dei temi-chiave che ricorrono e dialogano tra loro: l’oracolo, l’estasi, le tartarughe, l’atto di fumare, gli elementi naturali, il corpo e le sue “porte” percettive, il mito antico. Sono alcuni degli “archetipi”, delle immagini a cui Fabre fa più spesso ricorso nei suoi lavori teatrali e di arte visiva.
Ho scelto le opere della mostra “Stella” insieme all’artista seguendo questi temi, rappresentati simbolicamente uno ad uno dalle tartarughe la nuova serie di disegni in mostra. Le tartarughe disegnate da Fabre creano anelli di fumo di sigaretta, recano sul carapace il logo della marca di sigarette preferite (ovviamente Lucky Strike), trasportano placidamente sul dorso candele accese di prometeica memoria ma anche stelle e croci, prevedono la morte e proteggono da vigliaccheria e ipocrisia, possono persino pronunciare, lentamente s’intende, la parola l o v e…
Il forte senso di unità e scambio tra la vita e la morte sono profondamente presenti in questa mostra, dove si sente anche una sottile ironia verso la vita e i vizi umani. Il filo di fumo che sale verso il cielo, che nei dipinti da vanitas fiamminga era memento mori, diventa per Fabre il fumo della sigaretta.
Stella Höttler, nella serie di fotografie in mostra dal titolo “Smoking Stella” gioca con il suo corpo e con la sigaretta accesa, indossando ancora i costumi di scena della performance della video installazione in cui interpreta Cassandra. Da donna, ho riflettuto molto sul significato che avesse un corpo di donna così presente all’interno di queste tematiche e ho pensato ad un’altra figura mitica oltre a Cassandra: Pandora.
Nel poema sulle vicende umane raccontato da Esiodo, “Le Opere e i giorni”, il fuoco e la donna sulla terra hanno un’origine comune. Entrambi sarebbero nati dall’inganno di Prometeo nei confronti di Zeus. Al furto del fuoco da parte del titano, il re dell’Olimpo rispose facendo forgiare da Efesto una creatura meravigliosa, dotata di tutte le grazie e dei giusti attributi da renderla la più desiderabile delle vergini: Pandora. L’irresistibile Pandora sconvolge tutto, accende il furore amoroso per la prima volta, scoperchia il vaso del desiderio.
Fascino metamorfico e potente, quello di Eros, come quello legato all’atto del fumare che ha origini risalenti ad epoche remotissime della storia umana. Jan Fabre, genio visionario, consegna al corpo della giovane donna, Stella, il corpo stesso dell’arte, il mistero del piacere e del dolore umano, oracolo eterno che non si può e non si deve conformare.

“Stella” si collega al lavoro teatrale di Jan Fabre, presentato contemporaneamente al Teatro Out Off? Qual è il ruolo del teatro nella sua produzione artistica?
Jan Fabre è un artista totale, che si muove con febbrile creatività nel campo dell’arte visiva, in quella del teatro e della letteratura.I temi ricorrenti del suo universo immaginifico si possono rintracciare in ognuna delle sue espressioni artistiche. Nel caso di questa mostra, come ho detto sopra, il fil rouge è proprio Stella Höttler, attrice della compagnia Troubleyn di Fabre e protagonista della video installazione, delle fotografie e del nuovo spettacolo a teatro.
Credo che il teatro e la performance siano il luogo di sperimentazione primigenio per Fabre, perché è lì che la verità dell’azione si compie davanti agli occhi dell’artista stesso. Leggere il libro “Dall’azione alla recitazione” edito da Franco Angeli – vero e proprio manuale per performer che vogliano approfondire il teatro di Fabre – fa entrare nel metodo attoriale inventato e portato avanti dal Fabre creatore teatrale con la sua straordinaria compagnia.
Quella sperimentazione sul corpo, quella profonda tensione all’azione si ritrova moltissimo nella sua arte scultorea. Pensiamo alla sua opera iconica “L’uomo che misura le nuvole” o alla scultura “L’uomo che dirige le stelle” (esposta permanentemente a Palazzo Merulana a Roma), sono tutte azioni compiute da un palcoscenico. Il palcoscenico dell’arte visiva di Fabre c’è ma non si vede, anche gli spettatori delle sue mostre sono chiamati ad un coinvolgimento fisico, oltre che intellettuale.
Secondo te, come si manifestano in questa esposizione le caratteristiche più distintive dello stile di Fabre e in che modo la mostra si inserisce nel più ampio contesto del suo lavoro?
Attraversare linguaggi diversi mantenendo una solida coerenza visiva e concettuale è una caratteristica distintiva di Jan Fabre e la mostra alla galleria Gaburro, sebbene di dimensioni ridotte rispetto ai progetti su larga scala a cui ho lavorato con l’artista, ben lo rappresenta. Oltre alle tematiche legate al mito, alla scienza, alla religione, alla storia dell’arte, che ritornano creando un universo fatto di simboli e personaggi ricorrenti, c’è anche uno stile-Fabre ben preciso.
Uno stile che, a mio parere, è una fusione di citazioni dai maestri fiamminghi e olandesi (tra i suoi maggiori riferimenti ci sono Bosch, Rubens, Van Eyck), insieme ad un gusto per il barocco poderoso e alla rappresentazione più sintetica e simbolica di stampo medioevale. Fabre riesce così a creare delle immagini potenti, usando spesso materiali naturali come le elitre di scarabei, il corallo, le ossa, il sangue, per tornare a quella fisicità, al corpo (umano-animale e animale-umano), che è al centro della sua ricerca.

Parliamo di Cassandra, la celebre “profetessa inascoltata”, interpretata dalla performer Stella Höttler. Come si collega questa figura al mondo contemporaneo? Potresti approfondire il significato dell’installazione video “Schande übers ganze Erdenreich! (Vergogna su tutto il regno terrestre!)”?
Contro i meccanismi repressivi di un mondo contemporaneo anestetizzato, Fabre con la performance “Schande übers ganze Erdenreich! (Vergogna su tutto il regno terrestre!)” ci ricorda attraverso la figura di Cassandra, la santa-profetessa in estasi, la nostra parte profonda, dionisiaca, quell’abbandono al flusso naturale che ci fa risuonare con gli elementi e l’energia del cosmo. Il nostro essere profondamente connessi con la terra e con tutti gli altri esseri, umani compresi, dovrebbe portarci al rispetto e all’amore, non alla deturpazione e alla guerra.
Il personaggio mitico, inoltre, è affidato alla fisicità di Stella Höttler, attrice che nella serie di fotografie in mostra gioca con le cose “proibite”. Stella gioca consapevolmente con il proprio corpo. Corpo che oggi è tanto esposto quanto silenziato. “Se tutto è trasgressivo, niente è trasgressivo”, dice l’attrice ad un certo punto dello spettacolo “I’m sorry”.
Ecco, io credo che il mito antico possa ancora parlare al mondo contemporaneo attraverso autentiche trasposizioni artistiche come questa di Jan Fabre, perché affonda nella profondità dell’animo umano senza edulcorazioni, senza dover essere politicamente corretto, sempre giusto, sempre comprensibile e corretto. Al mito tutto questo è ancora permesso, almeno finché il revisionismo e l’ipercorrettismo odierni non arriveranno anche lì.
Sulla scena insieme a Cassandra sono presenti delle tartarughe, quale messaggio trasmettono e, più in generale, che funzione assolvono gli animali nel lavoro di Fabre?
Le tartarughe sono gli animali oracolari per eccellenza. Sono creature-guida, si dice che sul loro carapace sia disegnato il mistero dell’universo, la natura ciclica del tempo, per questo Fabre le ha rappresentate più volte.Sagge, pazienti, costanti, caratterizzate da una lentezza che sovverte leggi e limiti, le tartarughe sono protagoniste di infinite storie e racconti che costellano il pensiero umano.
C’è anche un dato biografico legato a questi animali: da bambino l’artista possedeva due tartarughe di terra, Janneke e Mieke, che osservava e disegnava continuamente. Le due sculture in vetro presenti in mostra portano i loro nomi e sono un omaggio a questo particolare rettile dall’aspetto primitivo, che custodisce la memoria del mondo.
“Gli animali sono i migliori filosofi e medici al mondo”, dice spesso Jan, che li ha studiati, rappresentati, esposti e celebrati collaborando anche con università e musei di storia naturale. La metamorfosi uomo-animale e animale-uomo è al centro di molte sue opere, così come l’intelligenza collettiva degli insetti è stata per lui di ispirazione per innumerevoli installazioni fin dagli anni Settanta.

Il tema della sessualità è spesso presente nelle opere dell’artista. In che modo viene affrontato nella serie fotografica “Smoking Stella”? Qual è il ruolo della figura femminile e come si colloca all’interno delle più ampie discussioni sul corpo, la sessualità e la spiritualità nell’arte contemporanea?
Nelle fotografie “Smoking Stella” c’è il richiamo alla pittura d’interni fiamminga ma anche alla fotografia erotica anni Settanta. Proprio grazie ai manifesti femministi di quegli anni, oggi questa giovane donna finalmente può liberarsi dal messaggio politico e giocare con la sua licenziosità consapevolmente, senza bisogno di dare spiegazioni. La luce calda, le pose audaci e intime, la bellezza piena di un giovane corpo femminile, la sigaretta a porre l’accento su alcune parti del corpo di questa seducente Pandora contemporanea: orecchio, bocca, vagina e ano.
Jan Fabre, con ironia sensuale, ci invita a ri-considerare questi “buchi” come porte attraverso le quali proviamo a conoscere il mondo, un po’ giocando e un po’ facendo sul serio. Pensiamo alle varie fasi di sviluppo psico-sessuale che si susseguono nell’infanzia secondo Freud.
Credo che il ruolo della figura femminile nell’arte contemporanea rispetto alle tematiche che citi, ovvero la sessualità e la spiritualità, non sia molto diverso da quello maschile. Gli artisti, senza distinzione di genere, hanno usato e usano il proprio corpo come primo campo di sperimentazione e osservazione per esprimere il proprio mondo interno. Nelle esperienze artistiche del Novecento il corpo è sempre stato presente, basti pensare a Marchel Duchamp che negli anni Venti giocava con il proprio corpo fino a cambiare sesso per diventare Rrose Sélavy.
Le artiste donne hanno avuto un ruolo fondamentale in queste “discussioni sul corpo”: Gina Pane con le sue performance violente faceva chiaramente capire al pubblico che era il materiale per la sua arte; le performance di Marina Abramovic misurano i limiti fisici e psichici umani; il lavoro di Rebecca Horn estende e modifica le possibilità percettive del corpo. Ne ho citate solo alcune molto note, ma i quegli anni (soprattutto Settanta) la Body Art aveva una carica sovversiva che rispondeva allo zeitgeist.
Oggi i tempi sono cambiati, uso un’espressione forte dicendo che l’arte radicale che smuove corde davvero profonde dell’animo umano non è più ammessa. Di questo rispondono soprattutto i giovani artisti, che hanno l’arduo compito di raccontare un presente effimero, virtuale, “umano-poco-umano”. Ogni arte è figlia del suo tempo, certamente, ma la vera arte si riconosce, perché appartiene ma anche resiste al tempo, vi si imprime.
Trovo che la maggior parte delle espressioni artistiche di cui siamo spettatori oggi vadano troppo nella direzione del politicamente corretto o di una moda controllata, anche quando mascherate dal sensazionalismo. Parlo dell’arte visiva e anche del teatro. Quante volte capita di uscire da una mostra o da uno spettacolo e continuare a pensare, i giorni successivi, a ciò che si è visto? Con le opere teatrali e di arte visiva di un grande artista come Jan Fabre questo accade ogni volta.
La potenza dell’arte dovrebbe lavorare dentro di noi, anche con tempi di assimilazione lunghi. Purtroppo, almeno per me, questo accade sempre più raramente e, per una volta, non è affatto una questione di genere. Forse sono andata fuori tema, pardon.


La tua collaborazione con Fabre è ormai consolidata nel tempo. Quali sono le sfide e gli stimoli nel lavorare con un artista di tale portata e complessità?
Ho incontrato Jan Fabre a Roma nel 2013, scrivevo per una rivista d’arte ed ero andata a vedere il suo storico e potente spettacolo “The Power of Theatrical Madness” al Teatro Eliseo. Dovevo fargli solo un’intervista ma da allora lo scambio di idee sull’arte e sui progetti di mostra non si è mai fermato e si è concretizzato in moltissimi saggi sul suo lavoro, testi critici e curatela di mostre.
Al tempo, da giovane storica dell’arte, Jan Fabre era per me un mostro sacro dell’arte contemporanea; ancora oggi penso che sia uno dei più grandi artisti viventi a livello mondiale, dunque questo sodalizio artistico mi è di grandissima ispirazione anche da curatrice.
Le sfide sono quelle necessarie all’arte, gli stimoli quelli necessari alla vita. Collaborare con un artista come Fabre è stata ed è tutt’oggi una grandissima scuola, sia per l’esperienza tecnica nella costruzione di un progetto espositivo, sia per il profondo scambio artistico e spirituale.