GENOVA – Greg Jager, classe 1982, artista con base a Roma, inizia a realizzare graffiti quasi in maniera casuale e “non autorizzata”, partendo dalla strada dunque. Dalla seconda metà degli anni ’90, appena quattordicenne, seguendo quella che era “la cultura dello skateboard e dei graffiti”, comincia ad esplorare lo spazio pubblico “una sorta di parco a tema dove puoi inventare giochi, costruire cose, auto-istruirti”. Questo è stato dunque l’approccio iniziale, “quello che faccio ora non è che la naturale evoluzione di un percorso iniziato più di venti anni fa” – racconta Greg.
Nel frattempo ci sono stati però anche gli studi accademici come graphic designer “che mi hanno consentito di capire come far evolvere il mio lavoro. La curiosità rispetto a diversi medium – spiega l’artista – ha permesso poi di creare una sorta di mappatura di quella che è diventata la mia identità artistica”.
Un lavoro transdisciplinare, variegato e complesso, sintesi di diverse contaminazioni
La rigorosa e complessa ricerca di Greg Jager, frutto di un dialogo tra arte, grafica, antropologia e architettura, si è evoluta in un universo geometrico che lo ha portato a confrontarsi con differenti linguaggi, sia nello spazio pubblico che in quello privato.
Pur occupandosi di spazi pubblici, l’artista tiene a precisare che il suo lavoro non è da definire o relegare nell’ambito della sola street art.
“La mia è una ricerca variegata e transdisciplinare, che può spaziare dal muralismo fino ai lavori su carta, ai dipinti, alla performance, ai progetti editoriali. Il muralismo è, quindi, solo una parte di un percorso molto più ampio, di una ricerca che si esprime in differenti modalità” – sottolinea.
Ciò che colpisce nel lavoro di Greg Jager è sicuramente la centralità della forma geometrica, del segno grafico, così come la combinazione di cromie che danno vita a inedite composizioni astratte. La passione per la grafica risulta evidente, come pure la sintesi di diverse contaminazioni, con una particolare attenzione alle arti visive di fine l’800 e inizi del ‘900, ma non solo.
“Il grande punto di riferimento per me è sicuramente la scuola del Bauhuas, le Avanguardie russe e l’Arte Cinetica italiana”. “Catturo suggestioni più vicine al mio sentire – spiega l’artista – cercando di interpretarle e rielaborarle. Sono tanti, insomma, gli aspetti che prendo in considerazione per la realizzazione dei miei progetti. Studio il passato, ma sempre con lo sguardo in avanti, rivolto al futuro, in una continua evoluzione”.
Un lavoro non solo estetico … “ma non parliamo di rigenerazione urbana”
Il lavoro di Greg Jager è sempre il risultato di uno studio e di una riflessione che non si limita alla sola estetica, ma assume un ruolo sociale e di continuo dialogo con il territorio. “Se così non fosse si tratterebbe di qualcosa di puramente autoreferenziale”. “Il terreno di gioco del mio lavoro, nei diversi modi in cui prende forma, è sempre lo spazio pubblico” – sottolinea l’artista. “Lo studio del territorio, il coinvolgimento delle persone rimane centrale, cerco quindi di rispondere ai bisogni delle comunità. Con questo non intendo fare propaganda politica, ma è pur vero che l’occupazione di uno spazio pubblico può avere un ruolo fortemente politico”.
Nonostante ciò, l’artista stenta a collocare la sua arte all’interno del concetto di “riqualificazione” o “rigenerazione urbana”. “Si tratta di una definizione abusata, utilizzata perlopiù dai politici in campagna elettorale e non dagli addetti ai lavori”. “Questo tentativo di restituire un decoro urbano, a basso costo, a zone di periferia – sostiene l’artista – è un’operazione creata più che altro per generare consenso politico. Il mio obiettivo non è quello di ‘riqualificare’, ma cogliere un’opportunità per porre degli interrogativi urbanistici, antropologici e progettuali, partendo da quelli che sono i bisogni e gli stimoli reali delle molteplici comunità che animano il tessuto urbano”. “Con il mio lavoro – rimarca Jager – non fornisco risposte semmai delle domande. Mi piace lasciare dei messaggi aperti in cui ognuno possa sentirsi libero di trovare una chiave interpretativa attraverso il proprio background culturale”.
Il progetto di Genova
Jager ha recentemente preso parte al progetto “Repicta” (dal latino “ridipingere”), commissionato dal Comune di Genova e sostenuto dal Gruppo Boero, che ha lo scopo di cambiare il volto della sopraelevata Aldo Moro, con il coinvolgimento di alcuni tra i migliori muralisti nazionali ed internazionali.
L’intervento di Jager, dal titolo “Il tunnel del colore”, è un lavoro di grande complessità che ha richiesto un accurato studio preparatorio. L’opera è il risultato di un perfetto equilibrio tra la struttura architettonica, le geometrie compositive e un sapiente uso di cromie giocate sui toni tenui e naturali. Per non stravolgere, infatti, questo spazio deputato alla funzione stradale è stata scelta una precisa palette. “Non potevano essere utilizzati colori troppo forti”, si è optato quindi per tinte calde e accoglienti che, non solo omaggiano i toni storici più diffusi nella regione, ma sono di fatto anche quelli che contraddistinguono il lavoro di Jager.
“Nella realizzazione di questo progetto è stato necessario risolvere alcune criticità – spiega l’artista. Si tratta, infatti, di un luogo molto buio, cupo, per cui ho pensato a un intervento che illuminasse lo spazio con il colore. Il progetto è molto estetico, ispirato al muralismo degli anni ’60 ’70”.
Trattandosi di un sottopassaggio “ho dovuto tenere anche conto delle modalità di fruizione, che non consentono una contemplazione statica, come in un museo. Ho quindi immaginato un’opera ‘attraversabile’, nella quale ci si possa immergere passando in macchina. Ho creato dei giochi e dei virtuosismi ispirati all’arte cinetica, con rimandi ad elementi optical. Le campiture di colore si alternano in un ritmo visivo che trasforma quei pochi secondi di attraversamento in un viaggio all’interno del colore”.
Viene da chiedersi se nel caso di Genova si possa parlare di riqualificazione urbana. L’artista ribatte: “Quella di Genova è stata una commissione di un’opera murale, come ne sono state realizzate anche in passato, mi viene da citare artisti come David Tremlett, Sol Lewitt o Daniel Buren, che appunto non si occupavano di rigenerazione urbana. Non voglio mettermi a confronto con loro, ma questo è il mio approccio con i luoghi pubblici”– chiosa Jager.
Infine riguardo ai prossimi progetti afferma “in realtà ne ho molti in cantiere già a partire da settembre, ma al momento non vorrei anticipare nulla”.
Di seguito una galleria di alcuni progetti di Greg Jager
Genova “Il tunnel del colore”
Cantieri San Paolo – Tiber Courtyard foto Max Intrisano