FERRARA – Oltre 45mila visitatori in due mesi. I numeri parlano chiaro, ma il dato più interessante riguarda la direzione curatoriale che Palazzo dei Diamanti sta assumendo: una doppia mostra capace di tenere insieme il grande nome internazionale e l’approfondimento locale, il percorso lineare e il frammento, la dimensione estetica e la ricerca d’archivio. Dopo l’esperimento dello scorso anno con Escher e i Mirabilia estensi, la formula si consolida con due protagonisti della Belle Époque: Alphonse Mucha e Giovanni Boldini.
Da un lato, l’universo grafico, decorativo e politico dell’artista ceco; dall’altro, la pittura dinamica e nervosa del ritrattista ferrarese. Entrambi attraversano la stessa stagione culturale, ma con grammatiche visive divergenti. Ed è proprio in questa divergenza che si gioca l’elemento più interessante della proposta espositiva.

Due visioni della femminilità nella Parigi fin de siècle
La presenza femminile emerge come campo di costruzione simbolica e tensione ideologica. Le figure di Mucha, immerse in una dimensione rituale e ornata, appartengono a un universo dove la bellezza è codificata, serializzata, offerta come immagine assoluta. Quelle di Boldini, invece, sembrano affiorare da un tempo accelerato, instabile, attraversato da posture ambigue e gesti interrotti. Due declinazioni di un medesimo enigma: la femminilità come superficie estetica e come narrazione in movimento, proiettata tra idealizzazione, emancipazione e spettacolo sociale.
Non si tratta solo di due approcci iconografici, ma di due politiche dello sguardo. Se Mucha costruisce una mitologia del femminile intesa come armonia e misura, Boldini ne coglie l’ambivalenza, il carattere mondano, persino lo sfasamento psicologico. Entrambi, però, restituiscono una visione potente e tutt’altro che neutra, ancora in grado di interpellare lo sguardo contemporaneo.
Una strategia culturale che investe sul lungo periodo
L’affluenza, per quanto significativa, non è il solo indicatore da tenere in considerazione. Un sondaggio condotto nei primi mesi ha mostrato che oltre il 60% dei visitatori è arrivato a Ferrara appositamente per le mostre. Un dato che segnala un’efficace attrattività culturale, ma anche la possibilità di pensare le mostre temporanee come parte di un ecosistema urbano in trasformazione.
La nuova struttura espositiva di Palazzo dei Diamanti – con la sua suddivisione tra l’ala Rossetti e l’ala Tisi – rende possibile questa coesistenza progettuale, che apre a futuri accostamenti, non scontati. Il successo della doppia mostra Mucha/Boldini non è tanto nella somma dei contenuti, quanto nella frizione che genera tra linguaggi differenti, nel modo in cui interroga, anche indirettamente, lo spettatore sulla storia dell’immagine e su chi la abita.