FIRENZE – Continua il lavoro di digitalizzazione delle opere di Raffaello in gigapixel, quindi in altissima definizione, da parte dellatech company di Franco Cosimo Panini Editore, Haltadefinizione.
Dopo il il Miracolo degli Impiccati, la tavola della predella appartenente alla Pala Baronci, prima opera commissionata a Raffaello a soli 17 anni, lo Sposalizio della Vergine, il dipinto che segna la maturità pittorica di Raffaello e il superamento del Maestro Perugino, e la Fornarina, profondamente legata alla vita privata dell’artista, e tra le ultime opere dipinte prima della prematura scomparsa nel 1520, è la volta di altre sei importantissime opere dell’urbinate.
Si tratta della Velata, la Madonna del Granduca, il Ritratto del Cardinal Bibbiena, il Ritratto di Tommaso Inghirami detto “Fedra” e il Ritratto di giovane con pomo, dipinti custoditi alla Galleria Palatina, oltre a San Giovannino esposto alla Galleria degli Uffizi.
“La digitalizzazione oggi può considerarsi uno dei mezzi principali per rendere il patrimonio accessibile e fruibile al pubblico su larga scala” – racconta Luca Ponzio, fondatore della tech company. – “ I progetti che portiamo avanti insieme al nostro partner tecnologico Memooria, hanno come obiettivo principale la divulgazione, la conoscenza e la conservazione dei beni culturali, attraverso l’applicazione delle più moderne tecniche fotografiche. Il digitale, oggi, ci permette di salvaguardare la memoria del nostro patrimonio”.
Le opere
Ritratto di giovane con pomo, 1504 ca.
L’identità del personaggio non era nota dagli inventari al momento in cui la collezione urbinate giunse a Firenze, nel 1631, con i beni di Vittoria della Rovere, moglie del granduca Ferdinando II ed ultima erede della famiglia. Una delle ipotesi avanzate riguarda Francesco Maria della Rovere, nipote di papa Giulio II e figlio adottivo di Guidobaldo ed Elisabetta Gonzaga, nominato erede del ducato di Urbino nel 1504 e proprio a questa carica potrebbe alludere il simbolico pomo dorato. Ritratto a mezzo busto, il giovane indossa una camicia bianca e una veste di lana, completati dalla tipica sopravveste in velluto rosso e intarsiata da ricami a quadretti dorati e bordata di pelliccia di moda nel XVI secolo.
Madonna del Granduca, 1506-1507 ca.
La Madonna del Granduca è uno dei dipinti più celebri di Raffaello e una delle immagini identitarie della Galleria Palatina, il museo che custodisce il più alto numero al mondo di dipinti su tela e tavola del pittore urbinate. Si tratta di una delle opere più amate di Raffaello, dove l’artista dà prova della sua capacità di rendere immediata e umana la rappresentazione del sacro.
Il quadro fu dipinto da Raffaello intorno al 1506-7, durante il suo soggiorno a Firenze tra il 1504 e il 1508. Per mettere a punto questo piccolo e prezioso dipinto, Raffaello poté attingere a un ricco bagaglio iconografico, quello delle innumerevoli Madonne col Bambino in terracotta, stucco, legno, marmo e anche bronzo che i maestri del Quattrocento come Donatello, Ghiberti, Luca della Robbia, avevano prodotto copiosamente.
Ritratto di Tommaso Inghirami detto “Fedra”, 1510-11 ca.
Abbigliato con una veste rossa stretta in vita da una fusciacca bianca, e con il capo coperto da una berretta egualmente rossa, il personaggio emerge in primo piano contro un fondale oggi molto scurito ma che in origine consisteva in un tendaggio verde. E’ Tommaso Inghirami, letterato nato a Volterra nel 1470 e protetto di Lorenzo il Magnifico. Il soprannome di “Fedra” gli derivò dall’interpretazione nel ruolo di protagonista dell’omonima tragedia di Seneca, nel corso della quale si distinse per l’abilità nel verseggiare in latino. Tra i molti incarichi ufficiali ricevuti dal papa, fu nominato prefetto della Biblioteca Vaticana nel 1510 ed è a questo momento che risale l’esecuzione del ritratto.
Velata, 1512 – 1515 ca.
Il velo posato sui capelli, da cui deriva il titolo con cui è noto questo splendido ritratto di Raffaello, indica la condizione di donna maritata, ma rimane incerta l’identità della protagonista. Secondo Giorgio Vasari (1550, 1568), che vide il dipinto quando si trovava nella casa del mercante Matteo Botti a Firenze, si tratterebbe del ritratto della donna amata da Raffaello fino alla morte, Margherita Luti detta la Fornarina, ma il sontuoso abito della donna e i gioielli portano piuttosto a supporre che si tratti del ritratto di una giovane nobildonna, eseguito da Raffaello su commissione. Il dipinto costituisce uno degli apici della ritrattistica del maestro urbinate.
Ritratto del Cardinale Bibbiena, 1516 ca.
Letterato, diplomatico, amico e fidato collaboratore del papa Leone X, Bernardo Dovizi è ritratto l’abito ufficiale, composto dalla veste bianca e dalla mozzetta di raso rosso, completata dalla berretta rossa, e poggia il braccio destro sul bracciolo della sedia mentre stringe nella mano destra una lettera sulla quale sono scritte le parole “Sanctissimo d(omi)no nostro Pap…”, evidentemente indirizzate al papa.
Sul viso spicca l’espressione pungente e attenta dello sguardo rivolto allo spettatore, attraverso il quale viene trasmessa l’autorità del personaggio, il suo piglio intellettuale, ma anche la sua essenza più umana. Incluso nella lista di opere spedite a Parigi nel 1799, fu recuperato nel 1815 e collocato nell’anno successivo nella Sala di Saturno della Galleria Palatina, dove ancor oggi si trova.
San Giovanni Battista nel deserto, 1517-1518 ca.
Il San Giovanni è raffigurato come un fanciullo, vestito di pelli come da tradizione, seduto su una roccia indica Gesù. La mano sinistra è sollevata indica una piccola croce che simboleggia il destino di Gesù, la destra, invece, tiene un cartiglio con su scritto “ECCE AGNUS DEI”, le parole che secondo i Vangeli apocrifi il Battista pronuncia quando riconosce in lui il messia durante il Battesimo. La grande quantità copie denota che l’opera era molto conosciuta in passato.
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