ROMA – Il glicine che avvolge la palazzina a due piani, periferia Roma nord, è spoglio ma non appassito. Tra breve sarà di nuovo un esplosione di viola che, come una ragnatela profumata, colorerà le pareti fino alla terrazza circondata dai pini.
Turi Sottile, classe ’34, sa già che il suo glicine sarà testimone delle opere che stanno per nascere. Perché a 82 anni a smettere di dipingere non ci pensa proprio. «Qui ho tutto, continuo a lavorare ogni giorno, anche ci non ci vedo più come una volta. Questa casa era di Luigi Pirandello. Ma quando io l’acquistai non lo sapevo. Lo scoprì solo cinque anni più tardi, perché un mio ospite la riconobbe da alcune immagini. Io rimasi incantato dai pini che circondavano la casa, la comprai per questo».
Trentadue anni fa, nel giugno romano, Turi Sottile era sul balcone che si affacciava sulla piazza dove si stavano svolgendo i funerali di Enrico Berlinguer. Una folla di persone accaldate e di bandiere rosse si stringevano intorno alle spoglie del Segretario di quello che allora era ancora il Partito Comunista Italiano. Sottile, che da Acireale si era trasferito a Roma diversi anni prima, come milioni di italiani seguiva quei funerali che sarebbero ben presto entrati nell’immaginario collettivo di tutti, moltiplicati dalle immagini televisive, dalle fotografie, ma anche dalle canzoni e dalle opere di molti artisti. Dalle emozioni di quel giorno nasceva, di getto, I Funerali di Berlinguer, la grande tela che da 3 al 21 febbraio sarà esposta negli spazi di Bibliothé a Roma, circondata dai suoi bozzetti preparatori, in un’esposizione ideata da Graziella Falconi, promossa dal Partito Democratico e da L’Unità e realizzata dall’Associazione Culturale MetaMorfosi, concludendo il ciclo di eventi espositivi iniziato nel 2014 che ha visto in tutta Italia i numerosi tributi di artisti contemporanei in occasione delle celebrazioni del trentennale della morte di Berlinguer.
«Iniziai a dipingere subito, di getto, appena tornato a casa – racconta Sottile seduto nel suo studio che come un fortino lo protegge fra pennelli, colori, libri d’arte e un mare di tele – le emozioni erano moltissime. Intorno alle due del mattino avevo già concluso i bozzetti. Andai a dormire qualche ora. Ma alle otto ero già pronto. In casa c’era una tela proprio delle dimensioni che volevo. Cominciai a dipingere subito. In un giorno il quadro era finito».
I Funerali di Berlinguer, dipinto con colori acrilici su una tela 2,40 x 120, esplose subito in tutta la bellezza dei suoi moltissimi rossi.
«Utilizzai cinque diversi tipo di rosso per provocare i vari piani e per dare il senso di movimento che volevo. Sullo sfondo, in alto a destra, si intravede la cupola di San Pietro. I suoi colori plumbei e sfocati volevano rappresentare il potere del Vaticano contrapposto a quello del Partito Comunista».
Era un tributo all’uomo Berlinguer o al Partito Comunista?
«Mai stato iscritto al partito. Mi interessavano, allora come adesso, solo le persone. Quello che volevo era, invece, dare voce, attraverso il quadro, alle emozioni e all’afflato che avevo sentito quel giorno nei confronti di Berlinguer. C’era molta curiosità rispetto a questo personaggio e molta curiosità anche rispetto a come, il Partito Comunista, lo avrebbe trattato dopo la sua morte».
Che ne fece del quadro? Venne venduto?
«No, mai. È sempre rimasto con me, a casa mia. Solo in alcune occasioni, molte rare, è stato esposto. Per esempio una volta a Buenos Aires. L’anno scorso mi fu richiesto da PD per una mostra a Castel dell’Ovo a Napoli. Poi ha continuato a girare per altre mostre»
Ora però arriva a Roma per un’ultima esposizione in cui sarà completamente protagonista della scena, circondato solo dai bozzetti che preparò quella notte.
«Ma dopo non rientrerà a casa. Ho deciso di regalarlo al PD e all’Unità. Voglio che sia esposto. Come è giusto che siano esposte tutte le opere d’arte che non devono rimanere ad ammuffire nelle case dei privati o peggio ancora nelle camere da letto di un collezionista dove a vederlo sono in due, il marito e la moglie. Al massimo tre, quando c’è anche un amante».
Lei ha esposto molto, in tutto il mondo.
«Si ho viaggiato molto – e lo dice passando in rassegna i tanti oggetti che arrivano da ogni parte di cui è disseminato il suo studio – Tanzania, Kenia, Venezuela, Uruguay, Cile, Perù, Brasile. Tantissima Argentina dove fui anche vicepresidente onorario dell’associazione culturale intitolata a Luigi Pirandello. Grazie al nostro lavoro nacque Piazza Sicilia a Buenos Aires. Ma visitai anche il Giappone, l’Australia e gli Stati Uniti. Eppoi c’è la Russia: lì imparai l’arte delle icone in una bottega artigiana. Ed è da lì che nacquero le mie opere ispirare da quella tecnica che in Italia vennero poi chiamate “Immagini catturate”».
Frida, la gatta, intanto passeggia sulla scrivania. Un nome fin troppo evocativo, per un artista.
«Ovvio, l’ho scelto proprio per questo. Lei è la mia amante. Mi fa compagnia, mi osserva, cammina sulle mie cose, quando si arrabbia graffia e scappa. Torna dopo un paio di giorni. Proprio come un’amante».
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