ROMA – Negli ultimi tempi le manifestazioni ambientaliste all’interno dei musei stanno subendo una svolta significativa. Se fino a qualche mese fa infatti, gli atti di disobbedienza civile si traducevano in azioni eclatanti come il lancio di sostanze su opere d’arte protette o il blocco fisico degli ingressi, oggi gli attivisti stanno adottando tattiche più mirate e difficili da contrastare. L’episodio più recente ha avuto come scenario il Rijksmuseum di Amsterdam, preso di mira dal gruppo Extinction Rebellion (XR) con un’azione di boicottaggio digitale.
Uno sciopero invisibile: il boicottaggio digitale del Rijksmuseum
Il 1° marzo, in quello che solitamente è un sabato affollato di visitatori, le sale del Rijksmuseum si sono presentate insolitamente vuote. Il motivo? Gli attivisti di XR avevano prenotato in massa migliaia di biglietti gratuiti attraverso il sistema di booking online, senza poi riscattarli. L’obiettivo era quello di colpire il museo nel suo principale punto di forza economico: il flusso costante di visitatori paganti. Il risultato è stato evidente: anziché le consuete 8.000 presenze giornaliere, solo poche centinaia di persone hanno potuto accedere alle sale, mentre le prenotazioni risultavano tutte esaurite.
Il motivo della protesta? Il legame del Rijksmuseum con la banca olandese ING, accusata dagli attivisti di investire milioni di euro al giorno nel settore dei combustibili fossili. Il Rijksmuseum non ha bisogno di ING. Ma ING ha bisogno del Rijksmuseum per costruire un’immagine di responsabilità ambientale, hanno dichiarato gli attivisti. «Abbiamo deciso di dimostrare cosa significa un museo senza il suo pubblico».
Dal lancio di cibo all’uso del digitale: la nuova fase
Le azioni di XR si inseriscono in una più ampia strategia di pressione sulle istituzioni culturali, accusate di accettare finanziamenti da aziende coinvolte nell’industria petrolifera. Se in passato le proteste erano caratterizzate da gesti clamorosi, come il lancio di zuppa sui Girasoli di Van Gogh alla National Gallery di Londra, oggi la strategia è cambiata. Gli attivisti minano il funzionamento economico dei musei senza danneggiare direttamente il patrimonio artistico.
L’azione di Amsterdam non è un caso isolato. Episodi simili hanno interessato altre istituzioni, come la National Gallery di Londra e il Louvre di Parigi, spinte a rivedere le proprie politiche di finanziamento sotto la crescente pressione pubblica. Alcuni musei hanno già interrotto le collaborazioni con aziende petrolifere: il British Museum e la Tate Modern hanno deciso di non rinnovare i contratti di sponsorizzazione con la compagnia BP, proprio a seguito di proteste analoghe.
Dall’Olanda la protesta arriva anche in Italia
Non solo Amsterdam. In Italia, il 3 marzo, un gruppo di attivisti ha messo in atto una protesta pacifica alle Gallerie d’Italia di Torino, durante l’ultimo giorno della mostra American Nature. Con regolare biglietto d’ingresso, alcuni attivisti hanno occupato una sala dedicata ai danni ambientali causati dai combustibili fossili.
Questa azione segna l’inizio di una serie di mobilitazioni previste in tutta Italia che culmineranno con un grande evento a Roma dal 25 aprile al 1° maggio. In programma ci sono marce, sit-in e manifestazioni per chiedere politiche ambientali più stringenti e una maggiore responsabilità da parte delle grandi istituzioni culturali.