ROMA – Per meglio comprendere il fenomeno dell’imbrunimento delle decorazioni “finto oro” di molti dipinti di arte sacra del tardo Medioevo, un team di ricerca guidato dall’Istituto di scienze e tecnologie chimiche “Giulio Natta” (Scitec) del Consiglio nazionale delle ricerche e dall’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, in collaborazione con l’Università degli Studi di Perugia e l’Università di Anversa (Belgio), ha esaminato un capolavoro di Cimabue, la celebre Maestà di Santa Maria dei Servi, custodita nella omonima chiesa di Bologna, (1280-128 5ca., tempera e oro su tavola).
I risultati dell’indagine sono stati pubblicati sulla rivista «Journal of Analytical Atomic».
Uno studio finalizzato a una migliore conservazione delle opere
Lo studio risulta rilevante in particolare per la messa a punto di strategie di conservazione preventiva dell’opera. Sono stati quindi analizzati un paio di micro-frammenti accuratamente prelevati da campiture inscurite della pala cimabuesca. L’indagine è stata effettuata sia con metodi di microspettroscopia vibrazionale in laboratorio, sia con tecniche impieganti sorgenti ai raggi X presso l’infrastruttura europea di sincrotrone ESRF (Grenoble, Francia) ed il sincrotrone nazionale tedesco PETRA III-DESY (Amburgo, Germania).
“Le micro-analisi effettuate al sincrotrone – spiega Letizia Monico, ricercatrice del Cnr-Scitec – ci hanno permesso di dimostrare che l’imbrunimento è dovuto alla formazione di solfuro d’argento, un composto nero, che, per intenderci, è lo stesso materiale responsabile dell’annerimento di tanti oggetti o gioielli fatti d’argento. La trasformazione chimica, promossa dall’esposizione all’umidità e/o alla luce, è accompagnata dalla formazione di ulteriori composti di degrado biancastri, quali solfati ed arseniati”.
“Lo studio del dipinto – aggiunge Aldo Romani, professore associato dell’Università degli Studi di Perugia, e co-autore del lavoro – è stato integrato con indagini su provini pittorici a tempera invecchiati artificialmente, preparati utilizzando una miscela di orpimento ed argento metallico, molto simile a quella identificata nelle decorazioni “finto oro” del trono de La Maestà del Cimabue. I risultati mostrano che l’orpimento originale (chimicamente un trisolfuro d’arsenico) per reazione con l’argento metallico si trasforma in solfuro d’argento e in ossidi d’arsenico in condizioni di elevata umidità relativa percentuale e/o in presenza di luce”.
La conclusione per rallentare il processo di imbrunimento
Due sono i fattori su cui agire per mitigare e rallentare l’avanzamento del processo d’imbrunimento de la Maestà: esporre il dipinto a livelli di umidità relativa percentuale non superiori a circa il 30% e mantenere l’illuminazione ai valori standard previsti per i materiali pittorici sensibili alla luce.
“L’analisi sia del dipinto sia di provini pittorici di laboratorio, con tecniche d’indagine tra loro complementari e caratterizzate da elevata specificità, sensibilità e risoluzione laterale, – afferma Silvia Prati, professore associato dell’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, ed altro autore corrispondente del lavoro assieme a Monico – ha permesso di comprendere l’origine ed evoluzione di complessi processi di degrado. Tale approccio potrà quindi essere sfruttato con successo per esaminare opere d’arte eseguite con una tecnica analoga a quella del Cimabue e che soffrono di simili problemi di conservazione”.