PISA – Una splendida e maestosa tela di Artemisia Gentileschi (1593-1654), di quasi tre metri d’altezza, va ad arricchire il Museo di Palazzo Blu a Pisa. Si tratta del dipinto “Cristo e la Samaritana al pozzo”, che è stato acquistato dalla Fondazione Pisa per il museo, nella tarda primavera dell’anno in corso.
“La Fondazione – Spiega il Presidente Stefano Del Corso – è da sempre impegnata a far sì che Pisa possa offrire in mostra opere d’arte e testimonianze di valore culturale e storico riguardanti la città ed il suo territorio; ciò anche attraverso l’acquisizione di opere importanti e rappresentative, collegate al territorio per autore, tema o committente”.
“L’acquisto da parte della Fondazione Pisa – Sottolinea Cosimo Bracci Torsi Presidente di Palazzo Blu – arricchisce inoltre notevolmente il nucleo, unico credo nella nostra città, di opere dei Gentileschi presenti qui a palazzo Blu”.
L’opera, in uno straordinario stato conservativo, dipinta dalla Gentileschi durante il soggiorno napoletano (1630 – 1654), sarà visitabile gratuitamente a Palazzo Blu da venerdì 18 a domenica 20 novembre, per poi essere inserita nella collezione permanete.
Il dipinto, dopo l’acquisizione, è stato sottoposto ad un accurato intervento di restauro, realizzato da un team di restauratori guidati da Cinzia Pasquali, con Elisa Todisco, Elena Burchianti ed Enrico Rossi, che ne ha svelato la firma autografa dell’artista.
“Nonostante l’opera fosse in buone condizioni di conservazione – afferma Cosimo Bracci Torsi – essa è stata sottoposta ad un approfondito studio ed a un intervento di pulizia per rimuovere strati di vernice, restauri e ridipinture otto-novecenteschi. Questo, oltre a restituire la straordinaria bellezza dell’opera, ha fatto emergere anche una firma di Artemisia che rappresenta, oltre che una conferma, una vera rarità”.
” Il restauro – aggiunge Francesco Solinas del Collège de France – ha rivelato una qualità pittorica sbalorditiva liberando il dipinto da vecchie vernici ossidate e da ritocchi debordanti”.

Un’opera rara documentata sin dalla sua creazione
“Cristo e la Samaritana al pozzo” fu dipinto da Artemisia tra il 1636 e il 1637. Nel quadro la “pittora”, descrive la parabola evangelica di Giovanni (versetti 4,5-42), che riporta inevitabilmente all’intensa religiosità della Riforma cattolica, con uno straordinario realismo imposto in pittura dal Caravaggio qualche decennio prima.
Leggendo il dipinto – evidenzia Cosimo Bracci Torsi – “si rileva la precisione con la quale il dipinto traduce il testo: sullo sfondo i discepoli che tornano dalla città dove sono andati a far provviste; in primo piano le due figure attorno al pozzo. È però la straordinaria forza dell’arte di Artemisia che fa parlare l’immagine: l’espressione dolce del volto di Gesù che, immerso in un’aura già soprannaturale, dice parole che suonano ambigue e difficili, e l’atteggiamento pensoso della donna da principio sorpresa e confusa, poi sempre più affascinata, cerca con le esperienze pratiche della sua vita e le tradizioni della sua religione di capire il senso delle parole del divino maestro”.
La tela venne identificata nel 2004 da Luciano Arcangeli ed esposta a Palazzo Reale a Milano nel 2011.

“Il dipinto – spiega Solinas – è descritto nei dettagli (iconografia e dimensioni) dalla stessa Artemisia Gentileschi in ben due lettere dell’autunno 1637 indirizzate al cavalier Cassiano dal Pozzo, il suo illustre estimatore e protettore alla corte di Roma. Tramite il Cavaliere, l’artista offriva la Samaritana ai fratelli cardinali Francesco e Antonio Barberini, nipoti del papa regnante Urbano VIII; tuttavia, il grande quadro non fu mai acquisito dai prelati e rimase nella bottega napoletana dell’artista sino alla sua vendita, probabilmente dopo il ritorno dell’artista da Londra, nella primavera 1641“.
L’opera vanta uno straordinario pedigree collezionistico minuziosamente ricostruito dalle ricerche di Angheli Zalapì negli archivi siciliani. Censita già nel 1680 nell’inventario post mortem dell’imprenditore e uomo d’affari genovese Giovanni Stefano Oneto (circa 1616-1680) primo duca di Sperlinga, l’opera è stata rintracciata nelle raccolte di quella famiglia e dei suoi eredi sino al XX secolo.