Nel silenzio di un deposito museale nel nord della Francia, un’opera rimasta nell’ombra per oltre un secolo ha rivelato la mano di una delle più importanti pittrici del Rinascimento italiano: Lavinia Fontana. Conservato dal 1857 al Musée de la Chartreuse di Douai, il dipinto Ritratto di gentiluomo, di sua figlia e di una cameriera era finora attribuito al fiammingo Pieter Pourbus. Ma un recente studio lo ha restituito alla sua vera autrice: la bolognese Lavinia Fontana (1552-1614).
Un’indagine tra archivi e depositi
La scoperta è il frutto di un programma di studio e restauro promosso dal museo con il supporto di un comitato scientifico internazionale. A riconoscere l’autografia dell’opera è stato Philippe Costamagna, studioso specializzato nell’arte italiana del Rinascimento. È stato lui, tra le centinaia di opere conservate nei depositi, a isolare quel dipinto che, secondo le sue parole, “ha uno spirito bolognese dalla A alla Z”.
Un ritratto domestico dall’equilibrio calibrato
L’opera raffigura una scena domestica di raffinata compostezza: un uomo seduto in una poltrona, vestito di nero e con un colletto a pieghe, riceve fiori da una bambina – forse sua figlia – mentre sullo sfondo una cameriera depone un cesto di frutta. I toni sono scuri, lo stile sobrio ma attento ai dettagli: dai merletti agli oggetti, fino allo sguardo appena accennato dei personaggi. È proprio nei particolari, come osserva Costamagna, che si riconosce la mano di Fontana: “I serifs nel colletto, nella manica, la bambina con i fiorellini: tutto riconduce a Bologna”.
Un’opera ritrovata e in condizioni eccellenti
Il dipinto, di formato quasi quadrato, è in condizioni sorprendentemente buone. Non ha subito interventi di restauro invasivi e sarà ora restaurato per essere esposto nelle collezioni permanenti del museo. Un ritorno alla luce che non è solo materiale, ma anche storico: attribuire l’opera a Lavinia Fontana significa restituire visibilità a una figura centrale nella storia dell’arte europea.
Lavinia Fontana, antesignana di una storia ancora da scrivere
Nata a Bologna, allieva del padre Prospero Fontana, Lavinia fu una delle poche artiste a ottenere fama e committenze importanti nel panorama maschile del Cinquecento. Lavorò per i papi Gregorio XIII e Clemente VIII, dipinse pale d’altare e ritratti di corte, fu la prima donna ammessa all’Accademia di San Luca. Un profilo che la distingue nettamente, anche rispetto ad Artemisia Gentileschi, di quarant’anni più giovane, oggi celebrata da una retrospettiva al Musée Jacquemart-André di Parigi.
La riassegnazione del dipinto rappresenta non solo un’aggiunta significativa al catalogo di Lavinia Fontana, ma anche un esempio di quanto ancora resti da scoprire – o da correggere – nei depositi dei musei. Un lavoro di paziente scavo, dove la filologia si intreccia all’intuito e alla competenza, e dove può accadere che un volto anonimo del passato, all’improvviso, ricominci a parlare con una voce nuova. O meglio: antica, ma finalmente riconosciuta.