MILANO – Antoni Tàpies (Barcellona 1923 – Barcellona 2012) torna a Milano, dopo l’ultima rassegna antologica che lo aveva visto protagonista nel 1985 a Palazzo Reale.
Dal 10 febbraio al 31 marzo 2023, la Galleria Gracis, nella prestigiosa sede milanese di Palazzo Rusconi Clerici, ospita un’esposizione in occasione del centenario della nascita dell’artista Leone d’oro per la pittura alla 45° Biennale Internazionale d’Arte del 1993.
La mostra, dal titolo “Segno | Memoria | Materia”, presenta una selezione di 23 opere che restituiscono una panoramica dell’evoluzione creativa del pittore catalano, in un arco temporale che va dal 1959 al 2006.
Curatore dell’esposizione è Luca Massimo Barbero, fra gli studiosi più autorevoli dell’arte del secondo dopoguerra, Direttore dell’Istituto di Storia dell’arte della Fondazione Giorgio Cini, che in questa intervista propone una inedita rilettura della ricerca artistica di Tàpies.
Una mostra per i cento anni dalla nascita di Antoni Tàpies. Il titolo scelto “Segno | Memoria | Materia” è emblematico: tre parole chiave che sintetizzano l’arte del pittore catalano. Può raccontare com’è stato concepito il progetto?
Il progetto nasce da una data specifica al di là del centenario della nascita dell’artista nel 1923. Finalmente Tàpies torna nella capitale meneghina dopo quel 8 maggio 1985, quando aprì a Palazzo Reale la mostra “Tàpies Milano”, l’antologica che ha segnato la fama oltre l’informale di questo artista rispetto al pubblico italiano. Questa selezione di opere in mostra è stata concepita anche come omaggio alla città di Milano e per questo all’ingresso sarà presente una litografia, eseguita da Tàpies nel 1985 e diventata il manifesto dell’esposizione milanese. L’intenzione del progetto è di riscoprire alcune opere di Tàpies dalla fine degli anni ’50 fino agli ultimi anni della sua avventura creativa, concentrando l’attenzione su emblemi particolari, molto rari e significativi. Le opere esposte sono di piccole e grandi dimensioni e, spingendo l’audience quasi a toccarle con lo sguardo, rivelano l’evoluzione artistica di Tàpies. In sintesi, dunque questo particolare progetto propone a Milano, il percorso di un artista che rivela sempre di più la sua attualità attraverso i tre punti cardini utilizzati per la mostra. Tra questi simboli è importante concentrarsi sul segno, o meglio il modo in cui Tàpies crea i segni nei suoi famosi Muri.
Gillo Dofles relativamente alle opere di Tàpies scriveva: “dalla più assoluta astrattezza della tela (spesso acromatica) si passa alla ‘ricostruzione’ d’una realtà fenomenica riprodotta con l’uso di materiali che si trovano in natura”. Al di là del riconoscere Tàpies tra gli esponenti dell’informale, lei come legge e “ricostruisce” il suo percorso creativo?
Personalmente ritengo che sia molto interessante rivedere Tàpies sotto un’altra ottica storica, come propongo nel testo del catalogo edito da Marsilio Editori. In realtà io lo leggo oggi fuori da una chiave informale, fuori da quella materia agitata che caratterizza la modalità Informale ed anzi, analizzando le sue tele acromatiche, lo vedo come un anticipatore di tutta quella tendenza della monocromia e la presenza degli oggetti dei più giovani, da Azimut sino al Nouveau Realisme.
Stiamo parlando sicuramente di un pittore complesso, in cui l’uso della materia è però, in qualche modo, anche specchio di una interiorità tormentata. Una sorta di esistenzialismo, accompagnato dal senso di precarietà, di fragilità, di morte, di solitudine, ma anche di profonda umanità, emerge prepotentemente dai lavori di Tàpies. Quali sono stati i suoi riferimenti intellettuali o filosofici, oltre alla lezione sempre viva e presente della natura? È un aspetto che viene indagato e che si evince dalla mostra?
È sempre presente la vecchia lettura dei dipinti di Tàpies degli anni ’50 permeati da un senso di tormento, morte e dalla grande e costrittiva situazione politica che pervase la Spagna dalla fine della guerra civile fino alla morte di Franco. Ed è certo che questo aspetto ne è la radice fondante. Personalmente penso che ciò che rivela di più sullo spirito di Tàpies sia la sua formazione avvenuta nella fucina catalana. Studiando Mirò, Gaudì e Dalì, l’artista riuscì a dare un significativo vivo agli oggetti, allo spazio e alla materia. Un universo visionario vivo negli elementi filosofici e mistici. Li ritroviamo nel suo utilizzo della croce, presente nelle sue opere dagli anni ’40 o nell’atteggiamento demiurgico di Tàpies di imporre le mani sulla materia o imprimere dei graffiti per lasciare una traccia che sia memoria, simbolo, enigma. Tra l’altro si coglie anche la presenza di un’altra simbologia più misteriosa: caratterizzata dalla presenza di lettere, spesso le sue iniziali, o monogrammi e di numeri. Una serie di graffiti sospesi nel tempo. Per questo motivo a mio parere le opere di Tàpies sono portatrici di memoria, portali della visione.
Quanto è stato importante per lei, prima ancora dell’organizzazione, lo studio e la ricerca per questa esposizione celebrativa? Quali obiettivi si è posto per riuscire ad arrivare al pubblico, facendo comprendere la grandezza di Tàpies senza incorrere nel didascalismo?
Personalmente mi sono sempre interessato agli aspetti internazionali dell’arte del secondo dopoguerra e questo percorso mi ha portato a leggere e ad approfondire tutto il periodo che ancora andava genericamente sotto il tema dell’informale. Negli anni risultava evidente che ogni artista aveva sviluppato una propria personalità e ha vissuto quel momento “informale” con una forte accezione. Ho avuto l’opportunità di approfondire gli artisti attivi negli anni Cinquanta negli Stati Uniti ed anche molti altri artisti del secondo dopoguerra spagnolo. Ritengo, ovviamente che comprendere come siano riusciti ad esprimere nelle loro opere la condizione geopolitica degli anni ’50 sia molto utile per completare anche la nostra conoscenza di Tàpies. Questa ricerca è fondamentale per stimolare la curiosità del pubblico nei confronti di un autore che si rivelò centrale nel mondo dell’arte del XX secolo. Inoltre nel percorso di analisi mi sono soffermato su due casi molto interessanti per rileggere questo artista. Sono Lucio Fontana e Alberto Burri, per quanto riguarda l’Italia, analoghi e differenti a Tàpies.
L’arte di Tàpies, a suo avviso, è stata anticipatrice di molta contemporaneità?
Lo è stata già negli anni Cinquanta, ma un esempio interessante nel passato prossimo fu quando Tàpies presentò una serie misteriosa di opere alla Biennale di Venezia del 1993. Ricordo ancora lo sconcerto di coloro che volevano costringere Tàpies all’interno di una pittura tormentata ma informale. In quella occasione, l’artista espose nel padiglione spagnolo un letto sospeso con dei cavi, superando la matrice “poverista”, e sui muri delle scritte eseguite con la stessa modalità che nel 1993 i giovani vedevano come graffitismo. Tàpies ancora una volta ribadiva la libertà del messaggio di viaggiare tra oggetto e pittura, in grado di creare un’ambiente capace di emozionare.
Può anticipare qualche progetto futuro?
Stiamo preparando la prossima mostra che porterà le opere di Lucio Fontana a Hong Kong per la galleria Hauser & Wirth. Inoltre è attualmente in corso un’esposizione a cui tengo molto a livello curatoriale: “L’occhio in gioco” a Palazzo del Monte di Pietà a Padova. Sto anche preparando una mostra a Trento, un progetto con 50 artisti giovani contemporanei che ho creato grazie ad una serie di valigie. È un progetto itinerante, non commerciale, attraverso l’Europa e quando terminerà vedrà le opere dei 50 artisti donate ad un’istituzione pubblica.
Vademecum
Antoni Tàpies
SEGNO | MEMORIA | MATERIA
Dal 10 febbraio al 31 marzo 2023
Galleria Gracis
Piazza Castello, 16 – 20121 Milano
Orari: lun-ven 10.00-13.00 / 14.00-18.00
sabato su appuntamento
Info: tel. +39 02 877 807
e-mail: gracis@gracis.com